L’Assessora Claudia Firino ci
tranquillizza sul fatto che Sa Die De Sa Sardigna sia una giornata in cui da
tempo si sceglie un tema da abbinare, ed eventualmente da approfondire, nel
corso dell’anno. Per questo nel programma della ricorrenza attuale era normale ,
per lei, che si parlasse di migrazione, paragonando i migranti attuali con i
nostri sardi nel mondo. Niente da dire sulla sofferenza che attanaglia un
popolo che fugge dalla sua terra. La sofferenza è uguale per tutti, non ha colore
ne sapore. Ma, a mio modesto parere, c’erano altri temi da approfondire,
evidentemente inerenti a quella famosa giornata del 28 aprile 1794. Gli stessi
problemi che, a parte la data e il tempo, sono rimasti per certi versi
invariati e irrisolti. Allora il popolo sardo era sotto la tirannia del governo
piemontese e di questo si liberò, ora invece i tiranni sono molteplici e non
c’è che l’imbarazzo della scelta ad individuarli. Sia ben chiaro che non ne
faccio una questione politica. Sarebbe troppo semplice e troppo comodo. L’assessora
Firino che parla al passato remoto di migrazione dei sardi, forse non si è
accorta che nello stesso momento in cui la Sardegna accoglie migliaia di
extracomunitari, che finiscono perlopiù a fare accattonaggio in strade e semafori
delle nostre città, gran parte dei giovani sardi migra nel resto del mondo alla
ricerca di un lavoro o una collocazione sociale ragionevole e dignitosa. Spesso
con laurea in tasca e con nel cuore la propria famiglia e la propria terra, per
aspirare al massimo a fare il cameriere o il lavapiatti in città come Londra. Certo,
alcuni si contraddistinguono per le loro grandi capacità e competenza, ma ad
accorgersene non sono certo i nostri politici, bensì coloro che all’estero
hanno la lungimiranza di verificarne le qualità e il ruolo. Se poi, nessuno me
ne voglia per il paragone, si dovessero mettere sul piatto della bilancia le
sofferenze dei migranti, i sardi di un tempo non starebbero certamente dietro a
quelli attuali. Mi viene in mente il dialogo di qualche giorno fa, avuto con un
mio paziente al capezzale della sua consorte gravemente malata. Mi parlava
della sua emigrazione all’età di vent’anni, quando per puro miracolo non fu tra
i 136 italiani che morirono nella miniera di Marcinelle nel Belgio. Lavorava
strisciando per terra a millecinquecento metri di profondità in cunicoli di una
miniera di carbone con in tasca un topolino che con la sua morte avrebbe
segnalato la presenza di grisù. Assessora Firino, il suo compito è molto
complesso, la cultura non ha e non può avere limiti. Però, mi creda, lo dico da
sardo orgoglioso di esserlo, prima di scegliere argomenti da abbinare e
sviluppare, provi ad ascoltare, come faccio io da sempre, i racconti di persone
come il Signor Cabboi di San Nicolò Gerrei e il Signor Agus di Escalaplano, che
in fatto di cultura sarda avrebbero molto da insegnare.
Fabio Barbarossa
(Pubblicato su L'Unione Sarda del 3 maggio 2016)