Lo sapevo che prima o poi ci saremmo arrivati.
I segni premonitori erano già nell'aia e lo stesso olezzo, percepibile sotto i
trecento metri in favore di vento,faceva presagire
che di li a porco ci sarebbe stata una grande innovazione sugli usi e costumi della
nostra tanto amata Sardegna. In epoca di innovazioni tecnologiche e alimentari,
sottoscritte dalla genialità dei nostri amministratori, era imminente un grosso
cambiamento sull'allevamento dei maialetti sardi, onore e gloria delle nostre
tradizioni. Chi non conosce il porchetto sardo? Chi non ha gustato, turisti
compresi, almeno una volta nella sua vita quel sapore e quella consistenza
croccante, tipici degli allevamenti nostrani e della cultura dell'arrostitore,
sostenuto e dissetato dal fresco e tenace vino cannonau? Ben pochi. In certe
zone della nostra terra lo stesso svezzamento si avvaleva del porchetto quale
carne incontaminata, ricca di proteine e grassi di per se stessa equilibrata e
sana. Ormai e' appurato che il maialetto è entrato nel codice genetico dei
sardi e in questi ha determinato una parte fondamentale del loro carattere. Gli
stessi nostri avi adoravano tanto il suino da adottarlo negli stessi cognomi
presenti ancora oggi in gran parte delle anagrafi isolane. Porcu, Porceddu,
Porcheddu rendono alto l'onore dei sardi che così si chiamano. Purtroppo la
nostra è un'era di porcate e in queste si contraddistinguono mezzi uomini che
pensano solo ai loro porci comodi. Quindi non è improbabile che nel prossimo
futuro assisteremo ad un impoverimento ulteriore della nostra cultura lasciando
spazio ad una pseudo globalizzazione in cui il porchetto sarà frutto di incroci
genetici di ben altra provenienza. Il problema sarà convincere la porca sarda a
farsi montare da un porco di altri lidi. Ma d'altronde, piuttosto che nulla è
meglio piuttosto.
Porca miseria a tutti.
Fabio Barbarossa