Tutto si può augurare ad un medico, ma essere chiamato a domicilio in un piccolo paese di provincia per un parto
precipitoso, questo no! E’ troppo anche per un medico scafato e coraggioso come me. Primi giorni di ottobre di oltre
venti anni fa. La serata, intendo quella professionale, volgeva al termine e
nella mia mente era contemplato solo il ritorno a casa per godere, finalmente,
il meritato e sofferto riposo. Mentre varcavo l’uscio dell’ambulatorio vedo in
lontananza il sopraggiungere di una mottocarrozzella con dentro un signore visibilmente
agitato. Vuoi vedere che sta cercando
me? Ebbene si!
- - SU DOTTORI, PO PRESCERI, POIDI BENNI A DOMMU?
FILLA MIA ESTI ANGIENDI!!!! ( Traduzione Sardo-Italiano: Dottore, per favore,
può venire a casa che mia figlia sta partorendo?)
Tale terminologia derivava dalla
vita agro pastorale e datosi che il signore di professione faceva il pastore,
si adattava perfettamente all’uso.
Sul momento, li per lì, non ho
capito bene e mi sono illuso che “angiendi” volesse dire tutt’altro che
“partorendo”.
Niente da fare. Stava proprio
partorendo. Dico al signore che avrei preso i ferri del mestiere e sarei
arrivato di li a poco.
Cosa passi per la mente di un
medico di campagna, a settanta chilometri dal primo ospedale, investito di tale
responsabilità non è facile sapere. So solo che in quel
momento sono stato colto da una crisi confusionale e a malapena ho
realizzato che essendo mammiferi le nascite avvenivano attraverso il parto e
non per gemmazione o con la deposizione delle uova. Fortunatamente il sangue
freddo, tipico delle bisce e dei medici di campagna, mi ha consentito di
ragionare e di cercare, nella mia nutrita libreria, un testo sacro e pratico
che mi illustrasse, anche con schizzi e fotografie, intanto qual’ era la
direzione d’uscita del feto e quale fosse la tecnica più evoluta del semplice
“signora spinga”!
Dopo aver realizzato la strategia
ed essermi dotato di materiale adatto, flebo, farmaci, alcool, cotone, aghi e l'immaginetta di Sant'Anna, protettrice delle partorienti, mi sono recato violentemente nella casa del parto.
La visione che mi si prospettò
poteva essere paragonata solo ad un attentato a Beirut nei tempi caldi. Oggi ne
sarebbe stata sconsigliata la visione ai minori, ai deboli di cuore e con
particolare sensibilità al sangue. La puerpera giaceva adagiata in un letto,
per l’occasione e con molta fantasia, ginecologico. Sotto di lei un lenzuolo in
origine bianco intriso di sangue. Il
bambino, malgrado tutto già nato, piangeva disperatamente, e l’ostetrica,
presente dall’inizio del parto, casalingo e premeditato, giaceva su una poltrona, penzoloni e con la testa iperestesa verso
la schiena. Dopo aver chiesto informazioni all’ostetrica ed everne ricevuto in
cambio solo bofonchi senza senso, mi dedicai immediatamente alla puerpera e, con
una fleboclisi di Syntocinon, bloccai immediatamente l’emorragia. Messo tutti
in sicurezza, ostetrica compresa, inviai madre e figlio in ospedale per le cure
del caso. Col poco fiato rimastomi, ringraziai tutti e ripresi la strada del
ritorno con grande soddisfazione. Ancora oggi incontro questo grande
giovanottone, mio paziente, a cui solo recentemente ho raccontato, tra una
risata e l’altra, la sua rocambolesca venuta al mondo.
Fatto realmente accaduto.
Fabio Barbarossa
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