Autonomia della Sardegna.
I
Sindaci sardi chiedono allo stato di non essere abbandonati. Abbandonati da
chi? Quale stato? Quale abbandono?
Forse
noi sardi non ci siamo ancora accorti che l’abbandono non è avvenuto da parte
dello stato, bensì a causa del nostro stesso, volontario, isolamento. Da tutti
coloro che, dal 26 febbraio del 1948,
anno in cui è stata approvata la legge di Autonomia della Sardegna, si sono
avvicendati nel governo regionale con una serie di leggi e provvedimenti
anomali, o decisamente sbagliati. Da allora abbiamo assistito, con la
proverbiale indolenza e litigiosità che ci contraddistingue come popolo, al deterioramento
e allo sfascio di tutte le potenzialità e risorse che avevano fatto della
Sardegna una terra meravigliosa, unica, ricca di bellezze naturali e abitate da
genti che erano riuscite, malgrado tutto, a preservarle. La politica regionale,
non molto tempo fa, sosteneva che il futuro dell’isola si sarebbe fondato su un
polo industriale petrolchimico, su
ricerche minerarie simili alla corsa dell’oro del Klondike, sulla produzione e
vendita di bombe a mano, sull’assistenzialismo, meglio dire elemosina, della
Comunità Europea. Tutto questo oggi si scopre essere la causa del disastro
economico ambientale. Devastazioni di ogni genere. Strade statali, come la Carlo
Felice 131, che in quanto a ritardi fa impallidire la Salerno Reggio Calabria. Inquinamenti
ambientali senza rimedio, come la Miniera d’oro di Furtei. Disoccupazione giovanile
al primo posto nella Comunità Europea, sotto di noi solo la Grecia. Instabilità
economica e incertezza della sostenibilità del Sistema Sanitario Regionale. Calo
demografico come conseguenza della più grande emigrazione dei sardi dal dopoguerra ad oggi. E quindi,
inesorabilmente, ecco il riapparire di una serie di personaggi: i cosiddetti
Esperti della domenica. Gli esperti in acqua calda. I grandi scienziati
dell’ovvio, esperti in Tuttologia. Cosa fanno? Si riuniscono in Convegni, a
spese nostre, per pontificare che bisogna puntare su agro alimentare, turismo,
artigianato. Grazie al cavolo. Lo sapeva anche il Signor Piga di Armungia di
102 anni. Che la Sardegna deve investire su piccole e medie aziende. Rigrazie
al cavolo. Lo sapeva anche la Signora Simbula di San Nicolò Gerrei di 100 anni.
Cosa fanno ora i politici, sempre gli stessi da oltre 30 anni, a mo di grandi
luminari della salute? Fanno ricette. “Serve un altra idea di sviluppo. Il cammino
sarà lungo” dicono. “Il Mezzogiorno deve ancora puntare sul
modello di sviluppo industriale” insistono. Meno male che poi, dopo
tutta questa scorpacciata indigesta di elucubrazioni, gli esperti isolani e di tutto il mondo si confronteranno
a Cagliari, in un Convegno Internazionale, per stabilire se noi, diffidenti e
ignoranti isolani, ci fidiamo ancora dell’Autonomia Speciale che la Costituzione
ci concede. E c’è bisogno di fare un convegno? Lo dico io. No! E come disse il
signor Cubeddu di Ballao in simili circostanze, senza particolari studi di
economia industriale ma con grande senso pratico, “Su molenti sardu du incosciasa
un’otta scetti“ che in termini di economia ed alta finanza significa
che non si devono rifare gli errori del passato. Concordo pienamente con lui.
Fabio Barbarossa
(Pubblicato su L'Unione Sarda del 20 marzo 2016)
(Pubblicato su L'Unione Sarda del 20 marzo 2016)
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