martedì 20 ottobre 2015

Ridi che ti passa

Che l’Italia fosse patria di geni e grandi artisti si è sempre saputo. Che la storia d’Italia, sin dalle origini, sia stata rischiarata da grandi uomini, che con la loro genialità hanno illuminato l’umanità intera, è altrettanto noto. Le capacità artistiche della gens italica si sono evolute sino ai nostri tempi arricchendo il patrimonio nazionale  in campo di pittura, architettura, musica, letteratura, informatica, scienza, cinema e tanto altro ancora. Un esempio tangibile in cui si è manifestata questa grande capacità artistica, prevalentemente circense, è in una parte della politica nazionale ed europea. Giocolieri, saltimbanchi, giullari, trapezisti, equilibristi, pagliacci, si accalcano sempre più negli spalti dei teatri politici, alcune volte con opere drammatiche, altre con commedie esilaranti che impegnano e coinvolgono, volontariamente o meno, tutta la nazione. E si sa, quando la gente comune viene coinvolta direttamente se ne giova per benessere e salute. Viene riportato, nei sancta santorum della psicologia mondiale, che il popolo che ride gode di ottima salute e per questo che i nostri politici si adoperano. Per farci star bene. Pare che alcune apparizioni politiche, seconde solo alle apparizioni mistiche, nelle ormai innumerevoli trasmissioni tv, abbiano sortito effetti colagoghi, coleretici e lassativi, molto più dei farmaci. Si è addirittura gridato al miracolo quando, parlando di una imminente riduzione delle tasse, gran parte del popolo italiano si è sbellicato dalle risa. Tutta salute. Quale vantaggio per i medici, artisti per eccellenza, che nel loro lungo e difficoltoso cammino, trovano la strada spianata da cotanta collaborazione. Meditate gente. Meditate.

Fabio Barba rossa
Medico Artista

giovedì 8 ottobre 2015

Santi in Paradiso. La Sanità italiana ad un bivio.

Santa che ti passa. Il nuovo concetto di Sanità Italiana.

“Non preoccupatevi. Tutto resterà come prima. Nessun taglio lineare, né riduzione dei servizi. Tutti potranno accedere al SSN come si è sempre fatto. Miriamo a razionalizzare le prescrizioni inappropriate. I medici non devono temere rappresaglie. Forse”. Questo è ciò che si sente dire ormai a tutti i livelli dalla politica nazionale, regionale, provinciale, aziendale, distrettuale, condominiale. Non ci saranno tagli. Solo strappi. Per questo, anche sulla base di un accordo con la chiesa, chiunque incapperà in un bisogno di salute, potrà invocare i relativi Santi al semplice costo di una preghiera o al massimo di una offerta volontaria (minimo 20 euro):
-        Santa Lucia per problemi di vista;
-        Sant’Antonio per l’herpes;
-        San Cristoforo per il mal di testa;
-        Sant’Eustachio per l’intestino;
-        Sant’Acario per le malattie nervose;
-        Sant’Agostino tosse e malattie dell’orecchio;
-        San Cirillo per le infezioni microbiche , ma questa è un’altra storia;
Questo per iniziare. Sono allo studio ulteriori accordi per Santi Regionali, in caso di patologie locali, rare ed emergenti. A livello di Regione Sardegna si parla già di Sant’Iffrigau e Sant’Igoddao per patologie inerenti gli organi di senso e della riproduzione e di San Guissuga per le malattie del sangue.
Per alleggerire i costi degli ospedali potranno essere all’uopo usate le sacrestie e altri luoghi di culto a seconda della fede religiosa. Ci sarà un risparmio nella terapia farmacologia e le parafarmacie potranno finalmente vendere rosari e immaginette relative alla patologia, anche senza ricetta medica.
In caso di insuccesso della terapia saranno ammesse le bestemmie, ma solo su diretto controllo del calendario.
La Santità Italiana si appresta così a diventare capofila della salute a livello europeo.

Dottor Fabio Barbarossa

    

mercoledì 29 luglio 2015

Pollicino al giorno d'oggi

Dovunque mi giro, il panorama non cambia. Umanità repressa, persecuzioni etniche, locali, personali. Un mondo che cambia aspetto. Tutto ciò che era, non è. Tutto ciò che è, non sarà più. Una corsa contro il tempo per fermare la scomparsa dell’umanità, così come l’abbiamo sempre conosciuta. Una sfida sul filo del rasoio per riaffermare concetti in disuso, ineluttabilmente indirizzati alla fine del tutto. A nulla servono ammonimenti, a nulla valgono manifestazioni di orrore. Tutto si assimila e si smaltisce. Tutto trova una collocazione nella mente collettiva, anche quando stride terribilmente con la coscienza personale. La negazione del passato è motivata da presunte necessità future. L’ottusità si sostituisce al patrimonio culturale dei popoli e la legge del più forte prevarica ogni possibilità di dialogo. Assistiamo ad una guerra totale, giustificabile solo da una demenza generale, dove il malato è più sano del curante. Il fine della stupidità giustifica i mezzi dell’idiozia. Un Machiavelli con il morbo di Alzheimer. Non sono un giornalista, e ne vado fiero, non sono un futurologo, e la cosa mi lusinga, non sono un politico, nessuno è perfetto. Sono solo un testimone del tempo. Un astante innocente catapultato a calci nel culo in una dimensione irreale, alla ricerca di una collocazione temporospaziale che, ahimè, non esiste più. Ho perso la strada, e a nulla servono le briciole di pane lasciate da Pollicino per tornare a casa. Gli avvoltoi hanno mangiato anche quelle. E in ogni caso ci sarà sempre un Orco, che con gli stivali delle sette leghe, cercherà di raggiungerci. Chiedo scusa a Charles Perrault per l’uso improprio del suo amato Pollicino. Buona fortuna a tutti.
Fabio Barbarossa

lunedì 27 luglio 2015


LA GENESI

Secondo Fabio Barbarossa

La nostra presenza su questa terra è solo un fatto occasionale. Un errore della natura. Un incrocio tra biochimica e sfiga galattica, sfuggito di mano al padreterno, o a chi sa a chi, che si è auto alimentato seguendo codici e opportunità biologiche. Balle Spaziali. In effetti, una gallina primordiale, annoiata e insoddisfatta, travolta dal suo delirio di creatrice universale, decise di dedicare il suo tempo alla ricerca di qualcosa di perfetto. La creazione di una SFERA. Solida, vuota e leggera. Qualcosa che potesse ricordarla nel corso del tempo e dello spazio. Qualcosa che mettesse tutti d’accordo , insomma, su chi fosse nato per prima. Creò l’UOVO. Distrazione e inesperienza, ma soprattutto presunzione, trasformarono questa sfera perfetta in un oggetto oblungo. La sua leggerezza inoltre lo rendevano particolarmente instabile. Ci riprovò ancora, e poi ancora. Niente da fare. Oblungo, leggero e instabile. Sulla forma niente da dire, ci aveva fatto l’abitudine. L’instabilità invece la costrinse a inseguire le sue uova, e, con le sue ali inefficienti e il sovrappeso, la cosa diventò particolarmente fastidiosa. Che fare allora? Sicuramente appesantirlo. Ma come? Riempiendolo, come un uovo. Con cosa? Le venne in mente un nome insignificante, il colesterolo. Non sapeva perché ma quel nome, in un prossimo futuro, avrebbe avuto una certa importanza. Andò avanti così. Ogni giorno creava un uovo. Le faceva tanto piacere questa sua arte creativa, che esprimeva col canto la sua soddisfazione. Da allora il tempo passò inesorabile. La demenza senile minò la sua arte creativa. Non riusciva più a ricordare il nome dell’oggetto da lei creato. Lovo? Movo? Iomo? Ahimè, nessuno di questi. Pensa e ripensa. Pensa ancora. Ecco ci sono. Si chiamava UOMO! SI, UOMO. E così, in barba a tutte le teorie che ancora oggi arrovellano le menti di grandi scienziati e grandi filosofi, siamo certi che l’Uomo sia nato dal culo di una gallina demente.
Fabio Barbarossa

mercoledì 18 giugno 2014

Alle volte ritornano

Alle volte ritornano.
Ciclicamente, più sulla base di una disfunzione ormonale che per una reale e ragionevole necessità, qualcuno sale in cattedra e pontifica sulla salvezza dell’Umanità. E allora giù con soluzioni dell’ultim’ora, dettate da elucubrazioni che sanno più di borborigmi intestinali che di umili e ponderate razionalità. Improvvisano su tutto. Tutti si intendono di economia, di sanità, di lavoro, di sociale, di agricoltura, di medicina legale e giurisprudenza. Sono i famosi e indispensabili tuttologi, i professori Soiotutto, meglio definiti “Esperti”. Ogni quattro anni diventano persino direttori tecnici della Nazionale di calcio. La loro presunzione è talmente grande che, in prima battuta e sfruttando la sorpresa, riescono persino a convincere i miscredenti e gli atei. Si esercitano davanti allo specchio degli allocchi, mimando e ripetendo le loro elucubrazioni politico intellettuali. La loro forza di impatto sulla comunità è grande almeno quanto la loro scomparsa dalla scena con la coda tra le gambe. Desasparessidos. Alle volte ritornano, mascherati da vergini, traditi soltanto dall’anagrafe e dalla fedina penale lunga e nera come la fame e la disperazione della povera gente. 

Fabio Barbarossa

domenica 8 giugno 2014

ritorno al passato



Sono nato nella seconda metà del secolo scorso, dove neanche la più avveneristica previsione avrebbe potuto immaginare lo stile di vita dei giorni nostri. Il semplice possesso della manopola di una vecchia radio, a onde lunghe e medie dei miei nonni di Buggerru, mi proiettava in un futuro che solo un bambino di sei anni poteva immaginare. Ruotando quella manopola immaginavo che, a parte il mio piccolo mondo, esisteva un altro universo, estremamente più complesso, che parlava un'altra lingua e la cui voce compariva e scompariva e che proveniva sicuramente da molto lontano. Il più delle volte non capivo cosa dicessero, ma non aveva importanza, perchè ciò che contava era poter sognare di conoscere e vivere in quel mondo. Probabilmente provavo lo stesso entusiasmo di Guglielmo Marconi quando riuscì per la prima volta a comunicare con un mondo lontano. Le notti estive del sessanta presentavano un cielo stellato dove veniva quasi spontaneo contare le stelle. Se poi, in quell'oscurità, un puntino luminoso si muoveva in qualche direzione, il cuore mi batteva forte perchè poteva essere un'astronave marziana e non un semplice aereo di linea. In questo senso sono cresciuto. Accettando per buono tutto ciò che il mio mondo mi metteva a disposizione. Cosa c'era di meglio che andare in bicicletta? E in Vespa con mio padre? E, dopo poco tempo, con la Fiat 500 giardinetta? E dopo ancora con la Fiat 1100 familiare? Accettavo per buono, senza protestare, tutto ciò che mi veniva concesso. I giocattoli? Solo a Natale e per il compleanno. Oppure inventati con fildiferro, canne, scatolette di sardine disponibili qui e la. La televisione solo nel bar dopolavoro dei minatori e, dopo qualche tempo, a casa mia, per la tv dei ragazzi, alle cinque della sera, con tanti amici, pane burro e marmellata. All'età di 10 anni l'arrivo a Cagliari. La grande città. Per andare a scuola facevo mezzo km a piedi e nel tragitto salutavo cortesemente chiunque incontrassi per strada. Non riuscivo a capire perchè nelle città non ci si salutava. Da quel momento la mia vita ha preso il volo. Un vortice di esperienze, di gioie, dolori, entusiasmo. La famiglia, la casa, gli amici, il lavoro, non ti davano tregua e annoiarmi era un lusso pressocchè impossibile. Nel frattempo, la tecnologia diventava il filo conduttore della mia vita. Il tramite con il quale, e per il quale, si potevano coltivare i rapporti col mondo esterno. Sono aumentate le possibilità di girovagare nell'universo, ma sono scomparsi, specialmente nelle nuove generazioni nate nell'era dell'informatica, quei macro rapporti fatti di parole, sorrisi, e tutto ciò che ci fa sentire esseri umani. Dopo tanta strada e tanta acqua sotto i ponti, dopo tanto futuro, il mio pensiero va a quella manopola di una radio che a modo suo  mi faceva sentire e sognare un mondo sconosciuto. Oggi il mio desiderio più grande è quello di tornare al passato, non per ringiovanire, ma perchè dopo aver vissuto intensamente questo mondo, vorrei tornare a sedere davanti ad un caminetto, dove con serenità e ingenuità,  aspettavo che mio padre portasse il pane abbrustolito e latte fresco per poter fare insieme alla mia famiglia una sana e meravigliosa colazione.
Fabio Barbarossa
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giovedì 15 maggio 2014

quel ragazzo del 22



Era nato in un'epoca in cui, appena finita una guerra se ne preparava un'altra, in una Europa incerta e litigiosa, ne piu' e ne meno come quella attuale, dove i concetti di amore e fratellanza tra i popoli non erano stati ancora affermati.

All'età di vent'anni, Marinaio della Regia Marina Italiana, si trovo' catapultato in una guerra non sua per ben sei anni. A seguire, una vita di lavoro, onesta', rispetto, nell'intento, poi riuscito, di costruire una famiglia, che sarebbe diventata la sua piu' grande soddisfazione.

Una moglie, compagna di vita da oltre 65 anni, 4 figli e tanti nipoti. Una guida stabile, un faro, un porto sicuro nel mare tempestoso della vita per chiunque avesse avuto l'opportunita' di incontrarlo. Nel tempo le intemperie della vita hanno intaccato il suo fisico, ma non la sua mente. 

La sua mente, meraviglioso intreccio di esperienza e amore, si e' adeguata ai tempi, alla ricerca di stimoli e fatti, alla ricerca del senso della vita che ha riconosciuto nel contatto col mondo circostante. 

E' stato e sempre sara' un riferimento indispensabile per i suoi cari, prodigo di consigli e fatti manifestati col buon esempio. Non ha mai chiesto niente per se. Non ha mai presentato il conto alla vita. 
La sua positività e fiducia erano basati sul concetto, oggi sempre piu' remoto, di altruismo. 

Quando, in questi ultimi tempi, la sua salute si e' resa precaria, a causa di un male incurabile, ha accettato la sorte e rispettato la morte. Lo ha fatto pregando il suo Dio, con serenita', senza maledire ne rinnegare. Quando il male ha avuto il sopravvento sui suoi sensi, si e' affidato alle strutture che avevano il dovere di aiutarlo e, senza pretese, ha auspicato una morte serena e dignitosa. 

Cosa porti la nostra societa' a negare il rispetto per la vita, e ancor peggio per la morte, non mi e' dato sapere. So solo che questo ragazzo del 22, se n'e' andato, in una fredda stanza di un ospedale pubblico, nella quale gli e' stata negata, a lui e alla sua famiglia, la misericordia di vivere le sue ultime ore, i sui ultimi minuti, nel silenzio e nel dolore privato.

La sua vita e' terminata nel mezzo di un clamore, nel frastuono di una televisione accesa e a volume sostenuto, nelle risate e nelle urla di una folla in visita occasionale ai suoi compagni di stanza. Mio Padre se n'e' andato senza che io potessi sentire il suo respiro, senza che potessi vedere la sua Anima volare nel cielo dell' Infinito. 

Oggi sono qui, non per accusare ne tanto meno condannare, ma semplicemente per ricordare che se la vita si deve vivere con dignità  ancor più la dignità deve contraddistinguere la morte. E questo si puo' fare senza criteri specifici ne costi aggiuntivi. Lo si puo' fare seguendo i dettami del nostro cuore e la saggezza dei nostri avi, che attraverso il culto e il rispetto della vita, hanno tramandato sino a noi il rispetto e la cultura della morte.

Fabio Barbarossa
Cagliari, 14 maggio 2014

venerdì 15 novembre 2013

volare si può...

lo scivolone dell'Onorevole Corda


Le scuse, non richieste ne gradite, dell'Onorevole Corda, testimoniano la difficoltà con cui la politica Nazionale esprime i propri proclami. Si fanno affermazioni, si sostengono concetti che poi, miseramente, vengono ritrattati con tanto di scuse. Scuse a chi? Ai Militari dilaniati, nel pieno della loro vita e del loro dovere istituzionale, quali portatori di pace? Scuse ai loro famigliari, che ancora oggi piangono senza capacitarsi della loro perdita? Scuse ai Carabinieri, che ogni giorno mettono a rischio la loro vita, con grande sprezzo del pericolo,  affinché i cittadini italiani, Lei compresa, cara Onorevole Corda, possano vivere con serenità la loro esistenza e quella dei propri figli? Scuse ai cittadini italiani, che con grande decoro continuano a tollerare il vostro motto "dai fatti alle parole"? No! Caro Onorevole Corda.  Non posso accettare le sue scuse. Non posso farlo per il rispetto che devo alla nostra Nazione. Per i sacrifici ai quali ci avete ormai abituati, senza un minimo di speranza. Non posso accettare le sue scuse perchè le considero inadeguate al danno fatto. Perché non era necessario fare un distinguo sui fatti avvenuti 10 anni fa a Nassirya, se non per riaffermare dei concetti che la media del Popolo conosce molto meglio di lei. Non accetto le sue scuse forse perché, nella mia modestia, sono un illuso. Mi illudo, caro Onorevole, che al Parlamento siedano persone    motivate, umili, intelligenti, che sappiano leggere nei  bisogni dei loro concittadini, e che la smettano, una volta per tutte, di doversi scusare per aver, a torto o a ragione, offeso l’amor proprio del Popolo Italiano.

Fabio Barbarossa

venerdì 8 novembre 2013

La mia vita con i Carabinieri



 Trent'anni fa, giovane medico, al principio della mia prima condotta sul territorio, trovai ad accogliermi e ad augurarmi un buon lavoro, un "vecchio" maresciallo dei Carabinieri. Il mitico maresciallo Romualdo Mulas, di Urzulei. Era ormai alla fine del suo mandato e si accingeva a passare il testimone ad un più giovane e volenteroso successore. Erano gli albori dell'informatizzazione e tutte le strutture pubbliche, Carabinieri e Medici di Famiglia compresi, se ne dovevano malauguratamente dotare. Ricordo di avergli chiesto: - Maresciallo, cosa ne pensa del computer?
Lui, che da tempo era diventato il "duedita" più veloce della zona, così rispose: - Caro dottore, per me è già troppo la macchina da scrivere!
Da allora, Vittorio, Enrico, Gian Luca, Matteo, Mimmo, Francesco, fu solo una parte della lista dei Carabinieri che si avvicendarono nella Stazione locale. Solo in apparenza nomi comuni. Ad ogni nome corrisponde una storia, una vita, una amicizia. Storie personali, ricche di gioie e dolori, di ansie, soddisfazioni, frustrazioni. Alcuni di loro accompagnati dalla famiglia, altri senza o con famiglie lontane. Negli anni il mio ambulatorio è diventata anche la loro casa, il rifugio dove trovare risposte ad un bisogno di salute, dove trovare un amico col quale confidarsi. Ogni qualvolta, a ritmi inesorabilmente cadenzati, uno di loro veniva indirizzato ad altra destinazione, per me era un momento di tristezza. Con un amico, andava via un pezzo della mia vita. Unica consolazione era che nelle consegne di chi arrivava, ero sempre definito un amico in dotazione alla stazione locale. Nell'Arma ho conosciuto grandi uomini. Alcuni giovanissimi al loro primo incarico, altre volte professionisti scafati con grandi esperienze pregresse. Spesso sradicati e trapiantati in ambienti inizialmente ostili, col tempo riuscivano con grande disponibiltà e umiltà, a raccogliere grandi stime e durature amicizie. Ognuno diverso, ma tutti dotati di grandi valori umani e professionalità, ma soprattutto portatori di quel dono che accomuna chiunque appartenga all'Arma dei Carabinieri: lo spirito di abnegazione. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, e oggi, anch'io come quel vecchio maresciallo Mulas, mi sento in attesa di dare spazio a chi ha più forza, lucidità e volontà di me. Ho solo un grande desiderio. Lasciare, quando giungerà il mio tempo, un messaggio di affetto e di amicizia associato al mio nome, semplicemente Fabio, a quella lista iniziale di nomi, fatta da tutti coloro che, nel bene e nel male, hanno calpestato, con onore e passione, il suolo della nostra terra. Fabio Barbarossa

venerdì 30 agosto 2013

Fare il medico significa...


Si sa, fa più rumore un ramo spezzato che una foresta che cresce. Così, pochi fatti  di malasanità balzano agli onori della cronaca molto più di quanto non lo facciano tantissime storie di amore, altruismo, professionalità dei medici che ogni giorno si cimentano con i fatti della vita. Esercito la professione medica da oltre trent'anni, medico di famiglia, e in tutto questo tempo sono stato attore e testimone di tantissime storie. Spesso ho anteposto il mio lavoro alla mia vita personale, trascurando gli affetti e tutto ciò che rientra nelle cose personali di una persona qualunque. Il nostro lavoro ti rapisce, ti conforta, ti consola. Ti fa sentire importante, perchè importante è il bene che tu puoi fare a chi ne ha bisogno. Il nostro lavoro è fatto di sacrifici, ma è gratificato dalla riconoscenza di chi hai davanti. Ti capita di gioire o di piangere insieme al tuo assistito. Però sai sempre che un sorriso, una parola buona, sono di integrazione a qualunque cura farmacologica o medica. Anzi, spesso, specialmente quando non ci sono alternative, è il più grande sostegno a chi si rivolge a te. Tantissimi anni fa, uno dei miei maestri, il Professor Tagliacozzo, titolare della Clinica Chirurgica dell'Università di Cagliari, mi disse una frase che non dimenticherò mai. Disse: "verrai schiacciato dal peso delle tue responsabilità". Li per lì, la ritenni una frase senza senso. Oggi ne sento il peso e la condivido. Perchè la responsabilità è il filo conduttore della professione medica. Quella che ti pesa, che ti fa sentire male, che ti toglie il fiato, ma è anche quella che ti fa star bene, che ti gratifica, che ti fa sentire in pace col mondo circostante. Per questo, ancora oggi, con i capelli grigi e qualche acciacco in più, continuo la mia professione con amore e passione, come tanti anni fa, quando scelsi e accettai di regalare al mio prossimo tutto ciò che la vita mi aveva generosamente messo a disposizione. 


Fabio Barbarossa

30.08.2013

martedì 6 agosto 2013

Cure territoriali destinate allo sfascio


                                                     

Nel lontano 2006, Segretario Provinciale della Federazione Nazionale Medici di Famiglia di Cagliari,  aderivo ad un progetto, geniale quanto lungimirante, per il futuro della nostra  professione. La Segreteria Nazionale, in accordo col Ministero della Salute, aveva intuito che nel prossimo futuro le cure territoriali avrebbero dovuto cimentarsi con uno stravolgimento delle logiche organizzative, economiche e sanitarie e per questo aveva creato una “forza speciale”, che attraverso una preparazione specifica,  avrebbe fatto da apripista nella rifondazione della Medicina Generale e del territorio Socio Sanitario.  Il corpo speciale, di cui mi onoro aver fatto parte, era costituito da trenta medici di famiglia, provenienti da tutta l’Italia. Tre anni di frequenza all’Università Luigi Bocconi di Milano, Scuola di Direzione Aziendale, corso di Gestione e Organizzazione Sanitaria. Tre anni di duro lavoro, portato avanti sino alla fine, con profitto e sacrificio. Ma con un unico intento: essere utile alla causa, per un miglioramento della figura professionale del medico di famiglia e del territorio. Ho conosciuto i migliori esperti in campo internazionale in organizzazione e gestione sanitaria. Il 28 marzo 2009, con immensa  soddisfazione, davanti alla Commissione Rettorale, ho ricevuto, dal Direttore del Corso, Professor Elio Borgonovi, la pergamena attestante la  conclusione dei miei faticosissimi studi. Ancora oggi, mi gratifico dalla vista del mio attestato, nel mio studio, condividendolo con i miei pazienti. Purtroppo non ci è stata altrettanta condivisione dalla politica nazionale e locale. Avrei voluto essere di aiuto e di supporto alla mia professione, ai miei colleghi, ai miei pazienti. Ma il degrado che sta investendo la nostra società, non risparmia  la nostra professione. Quando una società come la nostra, non è in grado di far conto sulle proprie professionalità, che lei stessa ha contribuito a formare, si sta preparando ad un grave declino per il destino della categoria medica e per ciò che questa rappresenta all’interno del Sistema Sanitario Nazionale.

Dr Fabio Barbarossa   

sabato 20 luglio 2013

Se non fossi cocciuto come un mulo, se non fossi orgoglioso di essere nato in una terra meravigliosa, se non avessi a cuore le sorti dei miei genitori e dei miei figli, se non avessi negli occhi le bellezze della mia terra, se non amassi il mare e le montagne incontaminate, se non avessi il coraggio delle mie azioni, se non fossi disposto a dare la vita per i miei ideali e per i miei figli, per la loro liberta', se lasciassi che la mia terra potesse diventare terra di nessuno o di conquista da parte di ladri e lestofanti, non sarei SARDO, ma, sopratutto, non meriterei di esserlo. 
Fabio Barbarossa.

Si no ippo istatu testurrutu che mulu,
si non mind’ippo abbragatu d’esser naschitu in una terra galana,
si no ippo tentu a coro sa sorte de sor mannos e de izos meos,
si non dia iuchere in ocros sa bellesa de sa terra mea,
si no ippo istimmatu sos montes e sos mares sardos,
si no ippo tentu su corazu de sas operas meas,
si non dia dare sa vita po sas ideasa e po izos meos e po sa libertade,
si dia lassare chi sa terra nostra potat diventare terra e nemos in manos de ladroso e imbolicosos,
non dia essere sardu ne dia melitare de esser de noche.
(Traduzione in Sardo di Gavino Orecchioni. Orosei)

lunedì 24 giugno 2013

Cultura, base dell’economia


Cultura, dalla stessa radice latina di “coltivare”, ovvero educare gli esseri umani. Gli economisti contemporanei sottovalutano la correlazione tra  performance economica e cultura, pur essendo quest’ultima fondamentale in tutte le fasi di sviluppo di una società moderna. Lo stesso UNESCO, per la protezione e la promozione delle diversità culturali, sostiene che non ci può essere sviluppo economico senza sviluppo culturale , e viceversa.
L’Estremo oriente (Taiwan, Singapore, Hong Kong e Sud Corea) ha basato lo sviluppo economico su basi culturali:fede, valore della famiglia, rispetto della disciplina e dell’autorità, etica del lavoro, con risultati economici che stanno travolgendo l’economia mondiale. Così l’economia può fungere da veicolo per divulgare valori, conoscenze culturali e stili di vita. La Sardegna, pur avendo una cultura capace di far vivere  e crescere grandi e proficue tradizioni, non è stata capace di trasferirla nei prodotti e nell’impresa, facendosi inglobare in enormi flussi di merci, servizi e lavoro, provenienti da altre nazioni in fase di espansione economica e culturale. Solo se l’imprenditore sardo sarà capace di intraprendere un ruolo di mediatore culturale, promuovendo una spinta all’innovazione e alla competitività, in coerenza alla propria cultura, potrà salvare la Sardegna dalla crescente globalizzazione che è causa dell’annientamento non solo in termini economici, ma anche e soprattutto in quelli della tradizione culturale, unica al mondo.

Pubblicata su L'Unione Sarda del 22.06.13 pag. 18

(nella foto Stele di Nora)

lunedì 27 maggio 2013

In memoria di Enrico Boi

Io c’ero. Io c’ero e ho visto, ho visto e ho pianto. Ho pianto perché sono un uomo e, come tutti, non capisco e mai accetterò  che un padre possa sopravvivere a un figlio. Così è stato. Un giovane se n’è andato da questa terra, lasciando un vuoto incolmabile. Era un figlio, un marito, un amico esemplare. Era, e sempre sarà, un Carabiniere. Forte e tenero allo stesso tempo. Attento alla famiglia e al suo prossimo. Vicino a tutti, col suo umore allegro sapeva illuminare il mondo circostante. Era amato da tutti, anche da chi non lo conosceva.  Ho visto un lenzuolo bianco coprire il suo corpo, in una strada fredda e desolata. Ho visto il silenzio della gente e la rabbia dei suoi colleghi ed amici. Ho sentito il pianto e l’incredulità di chi l’aveva visto solo pochi istanti prima. Ho visto negli occhi la disperazione di un padre e nel volto la pietà di una madre, la paura di una moglie, la rassegnazione di una sorella, la tenerezza di una nipote. Ho visto un Capitano, un Colonnello, un Generale, fare barriera intorno alla famiglia. Li ho visti piangere la morte di un collega, li ho visti piangere come si piange la morte di un figlio. La vita certe volte è meravigliosa, altre volte è spietata. Ma vale sempre la pena viverla, così come l’ha vissuta Enrico e come la vivono tutti coloro che la mettono a disposizione dei propri cari e del mondo intero.
Io c’ero e questo ho vissuto.

(Scritto dal sottoscritto in memoria di ENRICO BOI, Appuntato dei Carabinieri della Compagnia di Dolianova, morto l’11.05.2012, nei pressi di Serdiana, a seguito di una rovinosa caduta dalla bicicletta.)

Fabio Barbarossa