venerdì 8 novembre 2013

La mia vita con i Carabinieri



 Trent'anni fa, giovane medico, al principio della mia prima condotta sul territorio, trovai ad accogliermi e ad augurarmi un buon lavoro, un "vecchio" maresciallo dei Carabinieri. Il mitico maresciallo Romualdo Mulas, di Urzulei. Era ormai alla fine del suo mandato e si accingeva a passare il testimone ad un più giovane e volenteroso successore. Erano gli albori dell'informatizzazione e tutte le strutture pubbliche, Carabinieri e Medici di Famiglia compresi, se ne dovevano malauguratamente dotare. Ricordo di avergli chiesto: - Maresciallo, cosa ne pensa del computer?
Lui, che da tempo era diventato il "duedita" più veloce della zona, così rispose: - Caro dottore, per me è già troppo la macchina da scrivere!
Da allora, Vittorio, Enrico, Gian Luca, Matteo, Mimmo, Francesco, fu solo una parte della lista dei Carabinieri che si avvicendarono nella Stazione locale. Solo in apparenza nomi comuni. Ad ogni nome corrisponde una storia, una vita, una amicizia. Storie personali, ricche di gioie e dolori, di ansie, soddisfazioni, frustrazioni. Alcuni di loro accompagnati dalla famiglia, altri senza o con famiglie lontane. Negli anni il mio ambulatorio è diventata anche la loro casa, il rifugio dove trovare risposte ad un bisogno di salute, dove trovare un amico col quale confidarsi. Ogni qualvolta, a ritmi inesorabilmente cadenzati, uno di loro veniva indirizzato ad altra destinazione, per me era un momento di tristezza. Con un amico, andava via un pezzo della mia vita. Unica consolazione era che nelle consegne di chi arrivava, ero sempre definito un amico in dotazione alla stazione locale. Nell'Arma ho conosciuto grandi uomini. Alcuni giovanissimi al loro primo incarico, altre volte professionisti scafati con grandi esperienze pregresse. Spesso sradicati e trapiantati in ambienti inizialmente ostili, col tempo riuscivano con grande disponibiltà e umiltà, a raccogliere grandi stime e durature amicizie. Ognuno diverso, ma tutti dotati di grandi valori umani e professionalità, ma soprattutto portatori di quel dono che accomuna chiunque appartenga all'Arma dei Carabinieri: lo spirito di abnegazione. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, e oggi, anch'io come quel vecchio maresciallo Mulas, mi sento in attesa di dare spazio a chi ha più forza, lucidità e volontà di me. Ho solo un grande desiderio. Lasciare, quando giungerà il mio tempo, un messaggio di affetto e di amicizia associato al mio nome, semplicemente Fabio, a quella lista iniziale di nomi, fatta da tutti coloro che, nel bene e nel male, hanno calpestato, con onore e passione, il suolo della nostra terra. Fabio Barbarossa

venerdì 30 agosto 2013

Fare il medico significa...


Si sa, fa più rumore un ramo spezzato che una foresta che cresce. Così, pochi fatti  di malasanità balzano agli onori della cronaca molto più di quanto non lo facciano tantissime storie di amore, altruismo, professionalità dei medici che ogni giorno si cimentano con i fatti della vita. Esercito la professione medica da oltre trent'anni, medico di famiglia, e in tutto questo tempo sono stato attore e testimone di tantissime storie. Spesso ho anteposto il mio lavoro alla mia vita personale, trascurando gli affetti e tutto ciò che rientra nelle cose personali di una persona qualunque. Il nostro lavoro ti rapisce, ti conforta, ti consola. Ti fa sentire importante, perchè importante è il bene che tu puoi fare a chi ne ha bisogno. Il nostro lavoro è fatto di sacrifici, ma è gratificato dalla riconoscenza di chi hai davanti. Ti capita di gioire o di piangere insieme al tuo assistito. Però sai sempre che un sorriso, una parola buona, sono di integrazione a qualunque cura farmacologica o medica. Anzi, spesso, specialmente quando non ci sono alternative, è il più grande sostegno a chi si rivolge a te. Tantissimi anni fa, uno dei miei maestri, il Professor Tagliacozzo, titolare della Clinica Chirurgica dell'Università di Cagliari, mi disse una frase che non dimenticherò mai. Disse: "verrai schiacciato dal peso delle tue responsabilità". Li per lì, la ritenni una frase senza senso. Oggi ne sento il peso e la condivido. Perchè la responsabilità è il filo conduttore della professione medica. Quella che ti pesa, che ti fa sentire male, che ti toglie il fiato, ma è anche quella che ti fa star bene, che ti gratifica, che ti fa sentire in pace col mondo circostante. Per questo, ancora oggi, con i capelli grigi e qualche acciacco in più, continuo la mia professione con amore e passione, come tanti anni fa, quando scelsi e accettai di regalare al mio prossimo tutto ciò che la vita mi aveva generosamente messo a disposizione. 


Fabio Barbarossa

30.08.2013

martedì 6 agosto 2013

Cure territoriali destinate allo sfascio


                                                     

Nel lontano 2006, Segretario Provinciale della Federazione Nazionale Medici di Famiglia di Cagliari,  aderivo ad un progetto, geniale quanto lungimirante, per il futuro della nostra  professione. La Segreteria Nazionale, in accordo col Ministero della Salute, aveva intuito che nel prossimo futuro le cure territoriali avrebbero dovuto cimentarsi con uno stravolgimento delle logiche organizzative, economiche e sanitarie e per questo aveva creato una “forza speciale”, che attraverso una preparazione specifica,  avrebbe fatto da apripista nella rifondazione della Medicina Generale e del territorio Socio Sanitario.  Il corpo speciale, di cui mi onoro aver fatto parte, era costituito da trenta medici di famiglia, provenienti da tutta l’Italia. Tre anni di frequenza all’Università Luigi Bocconi di Milano, Scuola di Direzione Aziendale, corso di Gestione e Organizzazione Sanitaria. Tre anni di duro lavoro, portato avanti sino alla fine, con profitto e sacrificio. Ma con un unico intento: essere utile alla causa, per un miglioramento della figura professionale del medico di famiglia e del territorio. Ho conosciuto i migliori esperti in campo internazionale in organizzazione e gestione sanitaria. Il 28 marzo 2009, con immensa  soddisfazione, davanti alla Commissione Rettorale, ho ricevuto, dal Direttore del Corso, Professor Elio Borgonovi, la pergamena attestante la  conclusione dei miei faticosissimi studi. Ancora oggi, mi gratifico dalla vista del mio attestato, nel mio studio, condividendolo con i miei pazienti. Purtroppo non ci è stata altrettanta condivisione dalla politica nazionale e locale. Avrei voluto essere di aiuto e di supporto alla mia professione, ai miei colleghi, ai miei pazienti. Ma il degrado che sta investendo la nostra società, non risparmia  la nostra professione. Quando una società come la nostra, non è in grado di far conto sulle proprie professionalità, che lei stessa ha contribuito a formare, si sta preparando ad un grave declino per il destino della categoria medica e per ciò che questa rappresenta all’interno del Sistema Sanitario Nazionale.

Dr Fabio Barbarossa   

sabato 20 luglio 2013

Se non fossi cocciuto come un mulo, se non fossi orgoglioso di essere nato in una terra meravigliosa, se non avessi a cuore le sorti dei miei genitori e dei miei figli, se non avessi negli occhi le bellezze della mia terra, se non amassi il mare e le montagne incontaminate, se non avessi il coraggio delle mie azioni, se non fossi disposto a dare la vita per i miei ideali e per i miei figli, per la loro liberta', se lasciassi che la mia terra potesse diventare terra di nessuno o di conquista da parte di ladri e lestofanti, non sarei SARDO, ma, sopratutto, non meriterei di esserlo. 
Fabio Barbarossa.

Si no ippo istatu testurrutu che mulu,
si non mind’ippo abbragatu d’esser naschitu in una terra galana,
si no ippo tentu a coro sa sorte de sor mannos e de izos meos,
si non dia iuchere in ocros sa bellesa de sa terra mea,
si no ippo istimmatu sos montes e sos mares sardos,
si no ippo tentu su corazu de sas operas meas,
si non dia dare sa vita po sas ideasa e po izos meos e po sa libertade,
si dia lassare chi sa terra nostra potat diventare terra e nemos in manos de ladroso e imbolicosos,
non dia essere sardu ne dia melitare de esser de noche.
(Traduzione in Sardo di Gavino Orecchioni. Orosei)

lunedì 24 giugno 2013

Cultura, base dell’economia


Cultura, dalla stessa radice latina di “coltivare”, ovvero educare gli esseri umani. Gli economisti contemporanei sottovalutano la correlazione tra  performance economica e cultura, pur essendo quest’ultima fondamentale in tutte le fasi di sviluppo di una società moderna. Lo stesso UNESCO, per la protezione e la promozione delle diversità culturali, sostiene che non ci può essere sviluppo economico senza sviluppo culturale , e viceversa.
L’Estremo oriente (Taiwan, Singapore, Hong Kong e Sud Corea) ha basato lo sviluppo economico su basi culturali:fede, valore della famiglia, rispetto della disciplina e dell’autorità, etica del lavoro, con risultati economici che stanno travolgendo l’economia mondiale. Così l’economia può fungere da veicolo per divulgare valori, conoscenze culturali e stili di vita. La Sardegna, pur avendo una cultura capace di far vivere  e crescere grandi e proficue tradizioni, non è stata capace di trasferirla nei prodotti e nell’impresa, facendosi inglobare in enormi flussi di merci, servizi e lavoro, provenienti da altre nazioni in fase di espansione economica e culturale. Solo se l’imprenditore sardo sarà capace di intraprendere un ruolo di mediatore culturale, promuovendo una spinta all’innovazione e alla competitività, in coerenza alla propria cultura, potrà salvare la Sardegna dalla crescente globalizzazione che è causa dell’annientamento non solo in termini economici, ma anche e soprattutto in quelli della tradizione culturale, unica al mondo.

Pubblicata su L'Unione Sarda del 22.06.13 pag. 18

(nella foto Stele di Nora)

lunedì 27 maggio 2013

In memoria di Enrico Boi

Io c’ero. Io c’ero e ho visto, ho visto e ho pianto. Ho pianto perché sono un uomo e, come tutti, non capisco e mai accetterò  che un padre possa sopravvivere a un figlio. Così è stato. Un giovane se n’è andato da questa terra, lasciando un vuoto incolmabile. Era un figlio, un marito, un amico esemplare. Era, e sempre sarà, un Carabiniere. Forte e tenero allo stesso tempo. Attento alla famiglia e al suo prossimo. Vicino a tutti, col suo umore allegro sapeva illuminare il mondo circostante. Era amato da tutti, anche da chi non lo conosceva.  Ho visto un lenzuolo bianco coprire il suo corpo, in una strada fredda e desolata. Ho visto il silenzio della gente e la rabbia dei suoi colleghi ed amici. Ho sentito il pianto e l’incredulità di chi l’aveva visto solo pochi istanti prima. Ho visto negli occhi la disperazione di un padre e nel volto la pietà di una madre, la paura di una moglie, la rassegnazione di una sorella, la tenerezza di una nipote. Ho visto un Capitano, un Colonnello, un Generale, fare barriera intorno alla famiglia. Li ho visti piangere la morte di un collega, li ho visti piangere come si piange la morte di un figlio. La vita certe volte è meravigliosa, altre volte è spietata. Ma vale sempre la pena viverla, così come l’ha vissuta Enrico e come la vivono tutti coloro che la mettono a disposizione dei propri cari e del mondo intero.
Io c’ero e questo ho vissuto.

(Scritto dal sottoscritto in memoria di ENRICO BOI, Appuntato dei Carabinieri della Compagnia di Dolianova, morto l’11.05.2012, nei pressi di Serdiana, a seguito di una rovinosa caduta dalla bicicletta.)

Fabio Barbarossa 

giovedì 18 aprile 2013

La giustizia inefficace e l'istinto di vendetta

L'umanità si è sempre dovuta cimentare, con criteri, più o meno condivisi, su un tema drammatico che torna d'attualità: come ci si comporta in caso di ingiustizie sofferte? 
Col principio della vendetta, istinto primordiale atto a soddisfare il naturale desiderio di rivalsa, infliggendo un'offesa almeno uguale a quella subita? 
O è meglio seguire il criterio della giustizia, promossa e determinata dalle leggi democratiche?
La capacità di pensare e la conseguente evoluzione del pensiero di questi ultimi millenni, hanno solo in parte sradicato le pulsioni istintive.
Se la società rispondesse ai criteri di civiltà, probabilmente la vendetta non avrebbe luogo, perché la delega alla giustizia sarebbe assolta dalle forze dell'ordine e dalla magistratura. Purtroppo, però, sopratutto in Italia e nei paesi occidentali, sempre più di frequente, vengono deluse le aspettative delle parti lese. Anzi, le stesse aspettative diventano un ulteriore motivo di frustrazione e offesa, che aggravano il torto subito.
Tutto ciò spinge ad ulteriori riflessioni:
- Qual'è la giusta condanna per chi infrange le leggi?
- E' giusto farsi giustizia da soli?
- Chi si vendica, passa dalla parte del torto?
- La vendetta mette sullo stesso piano chi ha fatto e chi ha subito il torto?
In definitiva, l'evoluzione del pensiero umano è ben lungi dalla risposta. Probabilmente la ritroverà solo tra diversi millenni. Sempre che l'uomo non si estingua prima.

Pubblicata su L'Unione Sarda del 18.04.2013

martedì 26 marzo 2013

Fare il medico di famiglia non significa soltanto azzeccare le diagnosi seguendo criteri scientifici e deontologici lavorando con scienza e coscienza. Alcune volte bisogna ammettere i propri limiti, evitando che il paziente debba rinunciare a cure più adeguate ed innovative. Ecco perché alcune settimane fa non ho avuto nessuna esitazione quando una gentile e sofferente  paziente mi metteva al corrente così delle sue sofferenze:
- Caro Dottor Barbarossa, mi deve aiutare. Come mai quando, sento l'odore della lattuga, mi viene la nausea?
Nel mio ormai consunto cervello di scafato, nonché scaltro, medico di famiglia, più per esperienza che per scienza, sono passate diverse possibilità. Ma nessuna di queste mi sembrava adeguata alla soluzione del problema. Pertanto, umilmente, e senza penalizzare per questo la vita della mia cliente, con grande onestà intellettuale, così ho risposto:
- Cara Signora, mi dispiace veramente di non poterle risolvere il suo problema. Purtroppo, per mia esclusiva negligenza, il giorno che all'Università, nel mio corso di Medicina e Chirurgia, spiegarono la Lattuga, ero assente. Sono però sicuro di poterla inviare da uno specialista in Verdurologia, per poter insieme rimediare al suo fastidioso problema.
Avanti un altro...

sabato 16 febbraio 2013

Lo scacco alla Morte, meravigliosa illusione...

Nel "Settimo Sigillo", Antonius e la Morte, giocano a scacchi la partita finale per la vita. Se Antonius dovesse perdere, la Morte si approprierà della sua vita. Da medico, ho assistito tante volte a questa partita. Ne ho visto in faccia i contendenti. Da una parte l'Uomo, con il suo bagaglio di vita, la sua fede, le sue paure, la sua rassegnazione, dall'altra la Morte, misteriosa e scura, ma, nel contempo, paziente e determinata. Molte volte ho giocato io la partita, per conto di altri. Alcune volte vincendo, altre perdendo. Conosco la Morte. Ho imparato a rispettarla. Mi sono seduto tante volte al suo fianco, senza temerla, anzi, ritenendo la sua opera conseguenza giusta e naturale di una vita terrena. Tantissime volte mi sono opposto alla sua volontà, pur sapendo di essere poca cosa nei suoi confronti. Altre volte, non ne ho ostacolato la strada, quando ormai questa era la sola percorribile. In questi giorni l'ho rivista. Era seduta al fianco di un povero Cristo. Stava giocando, convinta che avrebbe vinto da un momento all'altro. Ed io, impotente, non potevo che aiutare, con umiltà, il suo contendente a perdere con dignità la sua ultima partita. So che un giorno o l'altro dovrò giocare con Lei la mia partita a scacchi. Non ho paura. Con Lei ci conosciamo bene. Quando arriverà il mio tempo, giocherò senza paura di perdere. Ma, in ogni caso, con determinazione e voglia di vincere.

Fabio Barbarossa
16 febbraio 2013


pubblicata UNIONE SARDA del 16 febbraio 2013

venerdì 25 gennaio 2013

quando la tecnologia supera la realtà...

Si sa che in questi ultimi anni la tecnologia ha fatto passi da gigante. In particolar modo quella applicata alla salute, che viene messa a disposizione di tutti, anche di coloro che ancora oggi preferiscono, per pigrizia, le vecchie abitudini. E allora capita che il Signor Pilloncu, pensionato di media età di un piccolo paese di periferia della Sardegna, si scontri, suo malgrado, con i suoi bisogni corporali e la tecnologia messagli a disposizione.
- Dottore,  riferendosi al suo medico di famiglia, non ci arrenesciu prusu a coddai cun mulleri mia. Itta pozzu fai? 
(google traslate Sardo - Italiano): Egregio Dottore, da qualche tempo non riesco ad avere rapporti sessuali con la mia consorte, sarà per caso una disfunzione erettile? Cosa potrei fare?
- Caro signor Pilloncu, non si preoccupi, alla sua età e con le sue patologie  può capitare. Comunque si può risolvere.-
Dopo aver scarabocchiato due righe su un ricettario apostrofa così il suo paziente:
- Ecco qua, sono delle gocce. Mi raccomando, ne prenda 8, non una di più, non una di meno, mezz'ora prima del rapporto con sua moglie. Ci vediamo tra una settimana così mi farà sapere. 
Puntualmente, una settimana dopo, il signor Pilloncu varca la soglia dell'ambulatorio del suo medico. 
- Allora? Signor Pilloncu com'è andata? Disse il dottore con un misto di curiosità e orgoglio professionale.
-  Ascuttidi, su Dottori, ch'appu provau deu pò mezzora cun is manus, ch'adi provai mulleri mia pò mezzora cun sa bucca, ch'adi provau sorga mia cun d'unu zappulu insciustu... 
(Google traslate : mi ascolti, caro Dottore, ci ho provato io per mezz'ora con le mani, ci ha provato mia moglie per mezz'ora con la bocca, ci ha provato persino mia suocera con uno straccio bagnato...)
mentre il medico,  allibito  per cotanta  spregiudicatezza, stava per cadere dalla sua poltrona, il Signor Pilloncu concluse così il suo racconto:
- O su Dottori, ma qustu cazz'e flaconcinu, cumment'è chi si operridi? 
(Google traslate:  ma com'è che si apre il flaconcino delle gocce?)

martedì 22 gennaio 2013

AVVISO AI POLITICANTI...


AVVISO IMPORTANTE A TUTTI GLI AMICI CHE DA ANNI SI OCCUPANO DI POLITICA



Vi chiedo umilmente scusa se mi permetto di fare le seguenti considerazioni: per decenni ho sempre creduto di avere le idee chiare su quelli che a mio modesto parere erano gli schieramenti politici e in ognuno di questi avevo collocato le rispettive amicizie e appartenenze non per un fatto classista o discriminatorio ma solamente per semplicità mia personale nel sapere dove andare eventualmente a cercarvi. In quest'ultimo periodo, complice sicuramente il mio invecchiamento cerebrale, ho perso completamente il giusto orientamento. E, come succede in questi frangenti, rischio di fare delle gaffe mostruose quando mi viene richiesto da Voi o da Vostri affiliati l'aderenza a questo o a quell'altro movimento politico. Per cui, ad evitarmi inutili quanto dannosi cali della mia pur precaria autostima, vi chiedo cortesemente, anche in forma riservata, di farmi avere i Vostri ultimi movimenti di ideologia politica, per potermi dare la possibilità di esservi vicino in questo difficile quanto imbarazzante momento storico.

Grazie 
Fabio Barbarossa

(nella foto in alto la Torre di Babele di Lucas van Valckemborch - 1594)











































































































































































domenica 6 gennaio 2013

La procreazione secondo Matteo



Era piccolo solo nella statura. La sua mente, supportata dalla sua fervida e brillante intelligenza, spaziava in tutte le direzioni. Riusciva a capire, e, nel caso, a spiegare ad altri, tutto ciò che la vita gli proponeva, certe volte per caso, altre volte per sfida. Così, un giorno, mentre dava alla sorella, più grande di un anno, spiegazioni su come si veniva al mondo, espresse così la sua certezza: - Noi siamo nati perchè papà, il migliore che abbiamo, ha messo il suo "p.....o" nella "f..a" di mamma. In questo modo, a sette anni, iniziava la sua avventura, che l'avrebbe portato, conseguentemente alla nascita e alla crescita, alla PROCREAZIONE.

sabato 15 dicembre 2012

Ci risiamo....

Ci risiamo. Spread, Bund, inflazione, debito pubblico, recessione, stagnazione, Monti Si, Monti No, Berlusconi, Bersani, Vendola, Casini e Company. Oltre al danno, la beffa. La nave Italia affonda, e sul ponte l'equipaggio ingaggia risse furibonde sulla responsabilità della tragedia, senza pensare di mettere in salvo o perlomeno alleviare le sofferenze dei passeggeri, ormai in piena crisi di panico e di disperazione. Ci risiamo con scontri televisivi, radiofonici, interventi giornalistici. Colpi bassi, minacce, intimidazioni. Ci risiamo con attribuzioni di responsabilità e ricerche di verginità acquisite. Ci risiamo con interventi della magistratura, a salvaguardia dei "diritti" del Popolo Italiano, con le promesse di salvezza, con le minacce di lacrime e sangue. Ci risiamo con ricette miracolistiche, unica possibilità di salvezza in un mare in tempesta finanziaria, o di ipotesi catastrofiche. E' la solita guerra. Dati statistici, previsioni, proiezioni economiche, ci accompagneranno in un clima di bollettini di guerra, che alimenteranno ulteriormente la disperazione della povera gente. Ci verranno richiesti schieramenti partitici e partigiani. Ci verranno richieste appartenenze innaturali, frutto di contrattazioni abberranti e abominevoli. Ci verrà richiesto uno schieramento fratricida, che approderà ad una guerra. Una guerra tra poveri. Questo succederà. Sarà una guerra con morti e feriti, e, come succede spesso, a farne le spese, sarà sempre, e solo, la gente indifesa, che dovrà combattere, e dare la vita, per una guerra non sua, per una vittoria illusoria ed inutile.
Mi rifiuto di accettare questo sistema. Mi rifiuto di credere che questa sia l'unica strada percorribile.
Mi illudo di essere ancora un essere umano con pregi e difetti, un padre, un figlio, un professionista, e, come tale, vorrei essere guidato, da chi si assumerà la responsabilità di governare, anche con sacrifici, ma percorrendo la strada principale dell'armonia, dell'onestà e della pace.
Fabio Barbarossa

(Pubblicato sull'Unione Sarda del 15.12.2012 a pagina 15)


martedì 20 novembre 2012

L'uomo cha parlava alle mosche...


Era un uomo democratico. Vestiva  casuals e difficilmente cambiava abbigliamento. Il suo giaccone trapuntato verde, aveva conosciuto diverse generazioni e la sua camicia di mollettone tovagliato, rosso a scacchi verdi, faceva pendant  con i blue jans prima maniera. La pulizia non era il suo forte, e neppure l’acqua scorreva a fiumi nella sua dimora. Il sapone,  del tutto sconosciuto, non era nel suo vocabolario.  La sua apparizione fisica era preceduta dal suo fetore, che in circostanze ottimali, con vento a favore,  poteva raggiungere e superare i 300 metri. Legava con gli animali. Possedeva alcune pecore, delle capre, e tanti altri animali convivevano temporaneamente con lui. Ma il legame più stretto e più sincero nacque con dei piccoli insetti, solo in apparenza repellenti. Le mosche! Fu amore a prima vista. In una giornata calda di fine estate, mentre l’uomo passeggiava accanto ad una grossa merda di vacca, le mosche l’abbandonarono per salire su di lui. Certo, fu un passo azzardato, ma, nel tempo, ripagò ampiamente le piccole bestioline. I rapporti non furono sempre idilliaci. Alcune volte il signore le puniva con una paletta  rossa, altre volte erano loro a schiaffeggiarlo con le loro ali fastidiose. Ma in definitiva riuscivano sempre  a trovare un modus vivendi che li soddisfaceva entrambe. Quando il signore delle mosche usciva, veniva sempre accompagnato da una folta rappresentanza  di insetti. Gli giravano intorno in orbite satellitari, senza allontanarsi da lui, se non per pochi centimetri.  Questo serviva alle mosche per poter esplorare il territorio in attesa di  colonizzare altri ambienti, e, a lui, per potersi sbarazzare delle scorie organiche dal suo vestiario. Condividevano con lui il cibo, la casa, i bisogni corporali, prevalentemente i suoi. Dialogavano spesso, anche senza parlare. Attraverso i gesti. Solo Una volta mi capitò di intercettare una comunicazione tra una mosca madre  che parlava al figlio: -“Figlio mio, lavati le zampette, i palpi mascellari e la proboscide, prima di mangiare la merda! Ricordati che hai camminato sul signore delle mosche!”-.
Fabio Barbarossa

sabato 27 ottobre 2012

In punta di piedi…...

 
Capita sempre più spesso, specialmente nel mondo dei social network, come facebook ad esempio, di vedere pubblicati, con grande disinvoltura, post con fotografie di bambini o altre persone fragili, oggetto di fatti drammatici o in conseguenza di campagne spudoratamente sterili e opportunistiche. Ogni fatto drammatico, di per se, necessita di un certo riserbo, perché all'’interno di questo convivono sentimenti e circostanze difficilmente comprensibili, soprattutto da chi non né è personalmente coinvolto.  Si usano e si abusano circostanze dolorose per poter coinvolgere emotivamente persone impressionabili, alle quali si vuol dare motivo di inutile ansietà. Condividere, o dichiarare "mi piace", non vuol dire assolutamente avere coscienza della vicenda, e neanche trovare soluzione affinché il dramma non si ripeta. La cosa giusta è vivere questi fatti con discrezione, rispettando la sofferenza e la dignità altrui e, se proprio vogliamo intervenire, dando un pò più di umanità ai social network, facciamolo con prudenza e in punta di piedi.
Fabio Barbarossa                                     23 ottobre 2012 15:24    

Pubblicato su Libero Quotidiano.it