sabato 20 febbraio 2010

...la vera felicità non è avere tutto ciò che si desidera, ma desiderare ciò che si ha...




sembra ovvio, ma provalo a dire a chi non ha neanche l'indispensabile. Quale felicità? L'altra sera mentre attraversavo la piazza del Carmine, freddo siderale, ore 18 circa, vicino alla farmacia, per caso scorgo, inginocchiata per terra tra una macchina e l'altra, una splendida giovanissima madre con in braccio un piccolo bambino, di due anni, bianco come la neve. Dorme un sonno profondo, sicuramente senza sogni e forse senza speranze. Chiede la carità a chi non sa cos'è. Mi fermo immediatamente. La mia formazione umana e professionale mi impongono di aiutare quella che a mio parere è la vera "pietà", altro che Michelangelo. Capelli lunghi e scuri la madre, occhi grandi, grigi come la tristezza, un'accenno di sorriso. Minuto, pallido, una cuffietta sulla testolina, un giubbotto, avvolto da una copertina, un piccolo angelo, abbracciato alla madre, unica speranza in un mondo cattivo, distratto, egoista. Il piccolo è malato, una grave malattia congenita che probabilmente lo renderà inabile per tutta la vita. Una piccola bottiglia d'acqua, poche cose da mangiare. Il primo pensiero è stato di mettere mano al portafogli per soddisfare un bisogno immediato, economico. Ma forse più un bisogno di coscienza mio personale. Utile anche questo, ma non sufficiente. Chiedo le condizioni di salute del bambino: è seguito da un centro di riabilitazione. Chiedo alla madre se ha bisogno, almeno in quel frangente, di una sedia. Mi risponde di si. Mi avvicino ad un bar, con un chiosco sulla strada, tanti tavolini e sedie, totalmente disabitato. Chiedo a due giovani commesse, pagando il disturbo, l'utilizzo di una sedia. Solo dopo aver capito chi era la destinataria dell'utilizzo, mi è stata vergognosamente negata, senza neanche una minima motivazione. Che tristezza. Mi vergogno per non essere stato in grado di procurare una miserabile sedia, Lei capisce e comunque ringrazia con un sorriso. Cerco un negozio di alimentari e compro tutto quello che immagino possa servire: pane, latte, succhi di frutta, acqua e non ricordo cos'altro. La madre mi ringrazia con una dignità antica, un sorriso, una speranza. Vado via commosso, triste, alla ricerca di una soluzione che forse non si troverà mai. Poi ci ripenso, torno indietro per poter far accomodare con me la signora e il bambino nel mio tavolo, in quel bar inutile, per far servire da quelle due bariste distratte chi nella vita ha avuto la sfortuna incolpevole di nascere nella parte sbagliata...o è il contrario? Ma al mio ritorno la piccola famiglia era scomparsa nel nulla, lasciandomi sempre più la consapevolezza di appartenere ad una razza, quella umana, che sarà anche in grado di fare grandi cose, ma che sempre più spesso è incapace di conoscere la misericordia, è incapace di amare.