venerdì 11 marzo 2022

Come eravamo – Parte Decima


 





I primi amori

 

I primi amori nascevano allora ed era sufficiente una compagna di Scuola, con gli occhi azzurri, le trecce bionde ed un sorriso dolce, a farmi perdere la testa.

Solo allora quella nuova e travolgente sensazione mi coinvolgeva contemporaneamente la Mente e il Cuore.  

I più grandi, invidiosi, mi dissero si chiamasse amore.

O quasi. O forse.

Nessuno pensi che a quell'età non si possa definire tale.   

L'amore non ha Sesso.

Non ha Età.

Non ha Colore.

Non ha Tempo.

Ancora oggi, a distanza di cinquantacinque anni, sento di una certa passione nel suo ricordo.

Passavo ore a farle una serenata dalla mia finestra di fronte alla sua, con una Armonica a Bocca che a malapena sapevo suonare, e lei, orgogliosa, mi guardava affascinata.

Soltanto nel 1971, con la Canzone del Sole, Lucio Battisti scrisse questo argomento con esito sicuramente negativo.

Lucio Battisti, comunque concludeva così:

 Sono alberi e cespugli ancora in fiore

Sono gli occhi di una donna

Ancora pieni d'amore”.

         

Fabio Barbarossa      

domenica 6 marzo 2022

Come eravamo – Parte Nona

 








Calcio e giochi vari

Quanti ricordi di questa Miniera di Ingurtosu.
Molte cose sono ancora nella mia mente come le lasciai circa sessant'anni fa.
Come, ad esempio, il campo da Tennis, per i tecnici ricchi della miniera, che noi ragazzini consideravamo, alla chiusura della miniera “campo di calcio”, ricavato in una altura del paese a ridosso di una discarica nella quale il pallone (???).
A seguito di un tiro incauto e malaugurato, poteva precipitare comportando la fine della partita.
A meno che qualcuno, animato da spirito altruistico, volontariamente, non andasse giù a cercarlo e, dopo circa un’ora, a riportarlo su.
Al bordo del campo c’erano depositi di Calce Viva dove chi ci finiva dentro, magari perché cadeva dento dentro la sfera magica, assumeva un colore bianco e apparentemente pulito e profumato.
Il cosiddetto pallone non era altro che un involucro scorticato e pesantissimo di aria, unto da pece e scucito in varie parti.
Ma quello c'era e non intaccava assolutamente la voglia e il piacere di giocare.
Altro gioco era Guardie e Ladri, dove spesso ci si perdeva in mezzo ai boschi e venivano spesso chiamati i parenti, o in casi complicati, i Carabinieri col Maresciallo Farci.
Altre volte i giochi potevano avvenire all'imbocco delle gallerie facendo accendere il Carburo, usato dai Minatori nelle Lampade ad acetilene.
Giocavamo anche in vicinanza dei Fornelli di Areazione della miniera, profondi centinaia di metri e senza protezione, purtroppo oggi di drammatica realtà, esempio Vermicino.
Ci divertivamo a buttare giù i sassi e contavamo sino a che questi raggiungevano il fondo.
Oppure giocare con una sorta di mastice raccattata a casa di qualche amico figlio di minatore, che solo in un secondo momento scoprimmo trattarsi di Mine Esplosive, facile da reperirsi un tempo nelle miniere.
Fortunatamente questi esplosivi, malleabili e molto resistenti agli urti, esplodono solo attraverso un detonatore.
Oggi mi dicono sarebbero bastati anche i semplici cellulari.
Non sarei qui altrimenti.
Una delle cose che ricordo ancora oggi erano i Minatori che entravano in Miniera tristi e puliti e ne uscivano, dopo tante ore, sporchi di nero, ma felici.
Per loro l’età media era di circa quarant’anni e mio Nonno materno era un Gladiatore del tempo.
Fabio Barbarossa

sabato 5 marzo 2022

Come eravamo - Parte Ottava

 









Pensieri


Cosa pensava quel piccolo bambino quando a sei anni, nel 1960, cominciò ad avere coscienza della sua esistenza?
Che visione aveva dell'Universo aldilà di ciò che i suoi attentissimi sensi gli davano a vedere?
Allora non era possibile cercare su Internet e tutto ciò che veniva percepito aveva un valore reale e pratico.
Solo l'immaginazione e la fantasia alcune volte potevano farlo fuggire dalla realtà e solo nei racconti, certe volte veri, altre volte fantastici di chi aveva accanto, riusciva a creare la sua mappa esistenziale mettendo le basi per la sua crescita e il suo futuro.
Se poi la sua vita iniziava in una piccola comunità mineraria del Sud Sardegna, di fantasia ce ne voleva veramente tanta.
I miei primi ricordi, a parte qualche sprazzo di memoria, iniziano da li.
Il ricordo di un bambino, forse di quattro anni, felice con le scarpine di camoscio bianco, ravvivate accuratamente da mia madre con la biacca, e un vestitino grigio con una camicia bianca e una cravattina scura con l'elastico, sono il mio primo ricordo e a questo si aggiungono il dolce volto di mia madre, la sicurezza mio padre e la complicità di mio fratellino Marco.
Un'occasione importante, forse un matrimonio era la ragione di tutto questo.
Da allora tante storie si susseguono sostenute da un filo forte e resistente che ancora oggi, mio malgrado, regge alle intricate vicende della mia vita.
Le stagioni si avvicendavano e da queste, contemporaneamente, venivano scritte le fasi della mia esistenza.
Correre a perdifiato in mezzo ai campi di margherite, camminare sulle Dune del meraviglioso Mare di Piscinas, andare incontro e sfidare la pioggia insistente, tuffarsi e rotolarsi sulla neve morbida e gelata sono solo una parte dei miei ricordi.
Il tempo passa perché la vita non si ferma e non aspetta nessuno.
Oggi improvvisamente mi trovo in quella fase del tempo in cui, che io lo voglia o no, ho superato ampiamente metà della mia vita.
Almeno quella terrena.
Non rimpiango il tempo passato e non sono alla ricerca di una nuova giovinezza.
Ogni tempo ha i suoi vantaggi e confesso che avere i capelli argentati non è poi così male.
Anzi.
Questo per me è il momento in cui ci si sofferma a guardare i particolari.

Quelli per cui per la fretta di andare avanti non ho mai avuto il Tempo.
È il Tempo in cui tutto ciò che hai avanti ha un valore diverso, prezioso.
Inestimabile.
È il Tempo in cui mi si apre il Cuore per avere i miei Figli al mio fianco, che leggendo ciò che ho appena scritto mi Abbracciano in Lacrime.
È il Tempo in cui penso a tutto ciò che è stata la Mia Vita.
A tutto ciò che ho già vissuto, ai rimorsi e ai rimpianti, al piacere e al dolore, alle delusioni, alle soddisfazioni.
Questo è il Tempo di Rallentare.
È il Tempo di Gioire.
È il Tempo di Vivere, senza se e senza ma.
È il Tempo di Vivere, solamente per Poter Amare.

Fabio Barbarossa

«Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi:
navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione,
e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser.
E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo,
come lacrime nella pioggia.
È tempo di morire.»

Dal Film Blade Runner



Come eravamo - Parte Settima




La mia Scuola Elementare


Se ripenso a quei giorni mi sembra di sognare.
Siamo tanto immersi in questo mondo che sembra quasi impossibile aver vissuto in quell'altro.
Sono andato tante volte a rivedere quella scuola, in quel piccolo paese ormai fantasma, Ingurtosu, per sincerarmi che tutto ciò fosse avvenuto veramente.
La scuola è ancora lì.
Completamente ristrutturata, con le aule dove sono sempre state, così pure le finestre, le porte e il caminetto.
Che ci faceva un caminetto in ogni aula?
Ovvio, le riscaldava.
Nella scuola non esisteva ancora il riscaldamento centralizzato con i termosifoni.
Ogni aula aveva un caminetto che veniva acceso ogni mattina presto dal bidello, chiaramente solo in inverno e quando comunque faceva freddo e non erano sufficienti cappotti, sciarpe e cuffiette.
Era una prosecuzione del focolaio domestico.
Quando la brace era sufficiente veniva riempito un braciere che stava in mezzo all'aula.
Compito di tutti gli scolari di buona volontà era quello di portare da casa sua dei tronchetti che contribuivano al focolaio di classe e durante
le ore di ricreazione ognuno di noi andava in giro a trovare ramoscelli per attizzare il fuoco.
I banchi erano in legno scuro ed avevano un posto singolo con un calamaio.
Negli stessi era possibile che si fossero seduti, tanti anni prima, anche i nostri genitori.
Per scrivere usavamo le penne con i pennini e l'inchiostro, preparato dai maestri con polvere colorata e acqua.
L'inchiostro aveva un difetto. Formava delle macchie azzurre e rosse che, a parte i quaderni, colorava le nostre mani e le nostre facce e il nostro umore.
Per questo, quando era possibile, si usava la famosa carta assorbente.
La mia maestra si chiava Vanda Loi e fu la mia seconda madre per 5 anni.
Manca solo una cosa che evidentemente è solo nella mia mente:
il frastuono e le urla festanti dei ragazzini all'ingresso e all'uscita dalla scuola.
Mi estraneo da me stesso, e attraverso un drone immaginario che piano piano sale nel piazzale, vedo me stesso bambino tanti anni fa con tutti i miei compagni.

(Sono il primo da sinistra in altro)

Come eravamo - Parte Sesta



 

I primi viaggi


Spesso con la famiglia si facevano dei viaggi.
Non certo come succede oggi.
I mezzi di locomozione a nostra disposizione furono una Vespa Piaggio 125, che quando fu messa a riposo in una sorta di garage divenne il gioco preferito mio e di mio fratello urinandoci dentro il serbatoio, una Fiat 500 Giardinetta e una 1100 Famigliare color fumo di Londra.
Allora non esistevano cinture di sicurezza, né tanto meno airbag e il numero consigliato di passeggeri era del tutto superfluo.
Si poteva essere in sei, due davanti e quattro dietro, oppure in otto, due davanti, quattro dietro e due dentro il cofano posteriore.
L'aria condizionata era condizionata dal livello di apertura dei finestrini, chiaramente a manovella, e la musica era offerta, strada bianca permettendo, gratuitamente dal canto famigliare.
Malgrado tutto, siamo ancora vivi. Almeno credo. Un'eccezione per me fu un viaggio in moto, Gilera 125, tre marce, da Buggerru, paese in cui d'estate venivo ospitato dai miei nonni materni, ad Ingurtosu, seduto in sella tra mio zio Pinuccio e mia zia Annamaria, a causa degli orecchioni.
I caschi a quel tempo erano consentiti solo a Manuel Fangio e a Giacomo Agostini.
Volendo si poteva usufruire anche della famosa Corriera Sita che con modica spesa e in tempi biblici ti portava da Ingurtosu a Cagliari.
L'unico problema era il rumore interno e la puzza di carburante che, vuoi per le strade bianche dissestate che per le sospensioni inesistenti ed il percorso tortuoso, portavano ad un apocalittico mal d'auto con conseguente e contagioso vomito generale.
Da piccoli andare in Corriera per un bambino era un atto coercitivo ed oggi sarebbe stato annoverato dall'ONU quale crimine dell'Umanità.
Malgrado tutto era per me un’avventura per aver l’opportunità di conoscere nuovi mondi.
Una delle cose che non dimenticherò mai fu una traversata con una Nave della Tirrenia con i miei nonni, Terza Classe Turistica, letti a castello, maschi da una parte, femmine dall’altra, cessi in comune.
Titanic insegna e Schettino venne dopo. Grazie a Dio.
Ma questa è un’altra storia.
Fabio Barbarossa

Come eravamo - Parte quinta





La Televisione

Alle cinque della sera, in perfetto orario con la “TV dei ragazzi”, che nonna RAI ci propinava, con Mago Zurlì quale massima espressione, tutti davanti alla televisione PHILCO, necessariamente in bianco e nero, dove l'involucro esterno, in legno lucido, era grande quanto un armadio a due ante e il monitor era invece poco più grande di un foglio A4.
A sette anni ero tra i pochi fortunati nella comunità ad avere una televisione.
I televisori anni 60 avevano il “tubo catodico e le valvole” che non sapevo esattamente quale fosse la loro funzione e un carrello con uno stabilizzatore di tensione (allora il voltaggio della rete elettrica era molto variabile).
So solo che ogni tanto il televisore improvvisamente smetteva di funzionare e allora c’erano due possibilità:
- O l’antenna si era spostata
- Oppure bisognava dare un poderoso pugno al di sopra del mobile per rimettere in funzione le valvole.
Per questo casa mia era luogo di raccolta di tutti i ragazzini del rione.
Mia mamma preparava la merenda per tutti a base di pane, burro e marmellata, con burro e zucchero quale variante, oppure, quando era disponibile, pane e uva.
Qualche volta, con mia grande felicità, alle 20 andavamo al Dopolavoro dei Minatori, primo posto in cui comparve la prima televisione pubblica, per vedere una trasmissione RAI che ricordo ancora.
Tutti i bambini seduti in prima fila, guardavamo “L'Amico del Giaguaro” presentata da Corrado, con Gino Bramieri, Raffaele Pisu e Marisa Del Frate.
Ridevo a lacrime alle battute di Bramieri.
Questo Dopolavoro era una struttura molto grande con un salone, tanti tavoli e un bar.
Nel banco di questo bar regnava un Signore un po' cicciottello e pacioccone che si chiamava Armando Onnis.
Con cinque lire potevi comprare un gianduiotto e qualche volta bere una Pepsi-Cola.

Come eravamo - Parte Quarta





La Sanità dei miei tempi.

Nella mia infanzia sono stato, tutto sommato, abbastanza fortunato.
Anche la salute mi è stata favorevole, a parte la Pertosse che mi costrinse a subire dieci giorni di iniezioni di penicillina.
Più che il dolore ricordo la preparazione:
- una scatoletta metallica con dentro una griglia, una siringa di vetro, smerigliata dall'uso, e un ago con annesso mandrino.
Prima di concedere i miei glutei seguivo con molta attenzione la preparazione.
L'ago praticamente senza punta ( i Pic arrivarono tantissimi anni dopo ) veniva montato sulla siringa e con questa veniva aspirato il farmaco.
L'esecutore materiale di tutto questo era il Medico condotto, Dottor Pisano.
Era talmente simpatico e rassicurante che decisi in quel frangente, a sei anni, che sarei diventato medico.
E così è stato.
La Sanità di allora era molto pratica e intuitiva.
Si dava importanza alla semeiotica che era, ed è, la disciplina che studia i sintomi e i segni clinici.
Allora non esistevano Ecografi, né TAC, ne RMN, né tanto meno Endoscopi.
Tutto era affidato alla capacità e all'esperienza del medico e
del personale infermieristico.
Non ricordo cure odontoiatriche.
Ricordo solo che le estrazioni dentarie venivano fatte da un infermiere, senza anestesia e con arnesi oggi definiti “da bricolage”. Altra figura che ricordo nei minimi particolari era la Signora Vinda. Questa Signora era abbastanza conosciuta. Amata e odiata, a seconda dei casi.
Era l'Ostetrica di tutta la zona.
Magra, distinta, sguardo severo e compassato, dava poca importanza a chiunque, evidentemente ad eccezione del Medico. La sua presenza era molto richiesta perché allora nascevano molti bambini, me compreso.
Le classi numerose ne erano una dimostrazione.
Grazie dell'attenzione

Come eravamo - Parte Terza







Le Comunicazioni

Diversamente dai tempi attuali, tutti i contatti col mondo circostante avvenivano di persona o al massimo attraverso una linea telefonica fissa che possedevano in pochi.
Il Centralino Comunale, il Medico condotto e qualche altro illuminato poteva dialogare con poche persone.
Se ricevevi una telefonata, da Cagliari per esempio, il messo del centralino veniva a chiamare il capofamiglia che si recava urgentemente, o ad orario concordato, per comunicare col mittente.
In genere erano notizie drammatiche e di conseguenza il messo era visto come portatore di disgrazie e affini.
L'unica possibilità concessa a noi ragazzini era il possesso della Manopola di una vecchia Radio a Onde medie e a Onde corte. Modulazione di Frequenza allora non esisteva ancora.
Ruotando quella manopola immaginavo che oltre al mio piccolo mondo esistesse un altro grande Universo, estremamente più complesso, che parlava un'altra lingua, prevalentemente Spagnolo, Francese o Arabo, la cui voce compariva e scompariva continuamente e che proveniva sicuramente da molto lontano.
Il più delle volte non capivo cosa dicessero, ma non aveva importanza, perché ciò che contava era poter sognare di conoscere e vivere in quel mondo.
Le notti estive del sessanta si presentavano con un cielo stellato dove ci veniva quasi spontaneo contare le stelle.
Se poi in quell'oscurità un puntino luminoso si muoveva in qualche direzione, il cuore mi batteva forte perché pensavo ad una Astronave Aliena e non certo ad un semplice aereo di linea.
La fantasia era alle stelle e la voglia di apprendere superava ogni barriera terrestre.
La Famiglia era comunque la cosa più importante, la più vicina a noi.
Genitori e Nonni, scampati da guerre e carestie, facevano di tutto affinché noi ragazzini non patissimo ciò che loro avevano vissuto.
Malgrado tutto, il secolo scorso, sin dal suo esordio, non fu un secolo tranquillo.
Ben due guerre mondiali si avvicendarono mettendo a dura prova gran parte della popolazione mondiale e imponendo a questa ogni tipo di privazione fisica e spesso affettiva.
Coloro che sopravvissero rimasero marchiati per sempre da questo dramma e dovettero modificare, loro malgrado, la loro stessa vita.
Nei ricordi della mia infanzia, più o meno a metà degli anni sessanta, era sempre presente una Tovaglia.
Già. Una bellissima tovaglia a quadri azzurri come il mare, ricamata e colorata, con un dritto e un rovescio.
Questa tovaglia veniva usata da mia nonna Antonietta nelle grandi festività dove, tra figli e nipoti, ci riunivano per pranzare o cenare insieme.
Solo in queste occasioni questa tovaglia veniva utilizzata in tutto il suo splendore.
Dalla parte buona e quindi al dritto.
In quell’immediato dopoguerra le risorse erano limitate e anche i più poveri osavano manifestare la loro rivalsa contro un periodo buio della loro vita.
Per questo anche una semplice Tavola Imbandita, e con una bella tovaglia colorata, poteva ridare fiducia verso un futuro incerto ma luminoso.
Come tutte le cose, nel tempo, questa tovaglia invecchiò e poteva succedere che nelle Festività successive comparisse sulla stessa prima un rammendo, poi una pezza, poi tanti frammenti della stessa adibiti a stracci da usare in diverse e meno dignitose occasioni.
Quella tovaglia, oggi più che mai, è diventata il filo conduttore della mia vita e mi ha insegnato tante cose.
Mi ha insegnato che la mia vita è come quella tovaglia.
Che non avendone altre a disposizione dobbiamo fare sempre conto sulla stessa.
Che non bisogna mai aspettare le grandi occasioni per viverla, ma che la quotidianità è il Vero Senso della Vita.
Che inesorabilmente, la si usi al dritto o al rovescio, invecchierà e comunque arriverà alla sua fine.
E se anche con rammendi o pezze, o semplicemente in piccoli frammenti, varrà la pena viverla sempre a testa alta e a schiena dritta, ma inesorabilmente con Orgoglio e Dignità.

Come eravamo - Parte Seconda

 L'Asilo

La vita continuava insieme agli altri piccoli nell'asilo dove le suore, con un cappello bianco inamidato e di forma strana, antesignano della maschera STORMTROOPER delle Star Wars, e una vestaglia immacolata che toccava per terra, gestivano contemporaneamente l'educazione e la cultura.
La mia Suora preferita, esile e minuta, era Suor Nicolina.
Il suo copricapo era molto più grande di lei e certe volte si aveva l'impressione che camminasse da solo.
Mi voleva molto bene e per lei ero Fabietto.
Si accedeva ad un grande caseggiato con giardino esterno.
Dotazione essenziale era un piccolo cestinetto di
vimini con annessa mela rossa, quelle variopinte non erano ancora contemplate, e un panino imbottito a seconda della volontà della madre. Preferibilmente burro e marmellata.
Li si iniziava a scrivere strani scarabocchi che poco avevano a che fare con la realtà.
Cerchi ed aste, scritte con penna a pennino e calamaio, su quaderni di bella e di brutta copia, sembravano inutili compiti ai miei occhi, ma forse da quelle iniziava la vera avventura culturale della mia vita.
In alternativa si costruivano strane e meravigliose case con pezzetti colorati di legno che anticipavano di tantissimi anni le più tecnologiche costruzioni Lego.
Negli anni successivi, attraverso la scuola elementare a contatto con compagni e compagne, forgiava il mio carattere e mi dava la forza di credere nella vita, nei sentimenti, nell'amicizia.
Trovare un amico era abbastanza semplice.
Solo che tutto poteva essere messo in discussione e anche quelle che potevano sembrare amicizie eterne potevano concludersi per motivi
futili e banali.
Magari una parola sbagliata sottovoce, un prestito negato, una presunta alleanza con un altro erano sufficienti.
Fortunatamente era altrettanto facile riprendere e continuare la stessa amicizia con altrettanto trasporto e amore:
“Toto sì che è un amico… Italo sì che è un amico” erano le considerazioni che riportavo ogni giorno a mia madre.





Come eravamo - Parte Prima





    Gli incontri conviviali


    L'alimentazione di allora era ben diversa da quella attuale. 

    Intanto i bambini obesi erano una rarità e questo già deponeva a vantaggio della dieta. 

    Alternative al pasto famigliare ce n'erano ben poche. 

    Si faceva colazione, si pranzava e si cenava in famiglia. 

    Tutti insieme. 

    Uno dei miei ricordi più cari, che ancora oggi regna nella mia memoria, era proprio una di queste colazioni. 

    Sveglia all'alba, pigiama pesante e poi appuntamento tutti insieme davanti al caminetto acceso e scoppiettante che mio padre ci faceva trovare tutti i giorni invernali. 

    Tavola imbandita con caffè latte, pane Cifraxiu sardo (vedi foto) abbrustolito, burro, zucchero e marmellata. 

    Ciò che riscaldava di più comunque non era il caminetto, ma quell'affetto umano che non era certo interrotto da cellulari o tablet di recente memoria. 

    Si parlava, si rideva, qualche volta si bisticciava, sempre nel reciproco rispetto, e si facevano i piani della giornata. Ripasso scolastico e poi, poco prima di uscire, dopo il canonico “ti sei lavato i denti?”, un bel bacio di mamma e via. 

    Il pranzo era sempre programmato e teneva conto, già da allora, delle più moderne regole alimentari, per le quali oggi spendiamo cifre da capogiro da dietologi, dietisti e psicologi vari: giovedì gnocchi, venerdì pesce, sabato trippa. 

    In caso di problemi si ricorreva al fatidico e temutissimo "Olio di Ricino". 

    Negli intervalli, a puro scopo riempitivo minestroni vari, legumi, cereali, e insalate di ogni colore. 

    La cena, che si svolgeva ad orari variabili a seconda delle stagioni, inverno ore 20, estate ore 21, era sempre leggera e a base di alimenti facilmente digeribili. 

    Ricordo tra le altre la minestrina di latte con le stelline. 

    Nessuno di noi si alzava la notte o si presentava davanti al frigorifero REX con annessa serratura, con i morsi della fame. 

    Era tutto calcolato e più che sufficiente. 

    L'artefice di tutte le faccende alimentari era la mia mamma. 

    Una cuoca semplice ed intelligente. 

    Capace di improvvisare come di mettere in atto ricette, attuali ancora oggi, e se so cucinare qualcosa lo devo a Lei. 

    Sempre amorevole e serena. 

    Se fosse mancato qualcosa in cucina, io ero il suo assistente e venivo incaricato di andare in qualche negozio o di chiedere alla vicina di casa. 

    In genere dalla signora Gilla, la mamma di Italo. 

    Ciò che ho imparato da Lei è la capacità di osare e il buon senso. Mio padre interveniva raramente in cucina. 

    L'unica volta che ricordo un suo intervento fu quando mamma venne ricoverata per qualche giorno:

    Pranzo di un giorno x:

    Tutti noi figli seduti a tavola, affamati e fiduciosi. 

    Mio padre decise per le uova fritte. 

    Sui fornelli grande padella di alluminio con manici di bachelite nera, allora non esistevano le antiaderenti, con abbondante quantità d'olio che a seguito di una sua distrazione diventò rovente. 

    Quando, sotto lo sguardo attento di noi quattro figli, mette il primo uovo sulla padella, questo salta in aria (BUM!!!) insieme ad una notevole quantità d'olio bollente che dipingono le pareti della cucina e disgraziatamente il suo naso che unto di olio si ustiona. 

    Fortunatamente aveva gli occhiali per cui non avemmo per il resto della nostra vita un padre non vedente. 

    Le nostre risate coprivano a malapena le sue parolacce: 

    “Occida (hai!) e Porco Giuda!!!” erano quelle più ripetute. 

    Da quel momento, e sino al ritorno di mia madre, fu incaricata una vicina per darci da mangiare, onorevolmente e senza rischi fisici.

    Fabio Barbarossa




    mercoledì 16 febbraio 2022

    UNA VOLTA SI CHIAMAVA ITALIA



    Ci sono due possibilità per sottomettere una nazione. 

    - Una è con la Forza, 

    - L'altra è col Debito.


    Questo concetto di becera filosofia economica, risalente alla metà del "settecento", è tornato in auge e si sovrappone perfettamente a tutti i criteri di economia moderna. 

    Non a caso tutte le recenti scelte premianti di politica economica di molte Nazioni, come gli USA. la Cina e altre nazioni ad impronta capitalistica, attraverso modifiche opportunistiche del mercato, mirano ad incentivare la crescita e lo sviluppo personale a discapito dell’interesse collettivo, nel tentativo di evitare una possibile sottomissione sia politica che economica. 

    Esempi eclatanti sono le politiche economiche, tra le quali l’Inghilterra, che in parte hanno portato alla Brexit nel tentativo ormai evidente di sganciarsi da un’Europa a due velocità, in cui quella più lenta è destinata a soccombere. 

    La stessa politica economica, peraltro condivisa attraverso un mercato di liberismo e a scelte apparentemente impopolari di politica finanziaria interna, tendono a rilanciare l’economia reale complice uno sfoltimento di tutte le norme vincolanti da precedenti trattati con altre nazioni.

    Il risultato è che in questa giungla mondiale di prevaricazione politico economica, le Nazioni Deboli, tra le quali l'Italia, disastrate da un Debito Pubblico Stratosferico, possono essere sottomesse dall'insieme dei due modi, cioè con la forza e col debito. Aggiungerei, per quanto riguarda l'Italia, una terza possibilità: 

    il Masochismo. 

    Attraverso questo masochismo, complice una politica castrante del  #Governicchio  #Draghi, e di tutti coloro che a questo si appoggiano, ci stiamo autoeliminando in un vortice di demenza collettiva, dove il demente è più sano del curante, e che presto metterà fine alla sovranità della nostra "fu Italia".

    Fabio Barbarossa


    Cagliari, 16 Febbraio 2022

    giovedì 18 novembre 2021

     


    PROCURAD’ E MODERARE, 

    BARONES, 

    SA TIRANNIA

    (Cercate di moderare, o Baroni, la vostra tirannia)

    Nel 1795 il Patriota Sardo Francesco Ignazio Mannu scrisse un componimento rivoluzionario e antifeudale nel triennio 1793-1796, in epoca sabauda, durante i moti rivoluzionari sardi.

    La poesia è scritta in ottave e conta 47 strofe per 376 versi complessivi. Il canto rappresenta una manifestazione di denuncia contro lo stato della Sardegna alla fine del XVIII secolo.

    L'inizio è costituito da un perentorio attacco alla prepotenza dei feudatari, principali responsabili del degrado dell'isola, col titolo “PROCURAD’E MODERARE, BARONES, SA TIRANNIA” (Cercate di moderare, o Baroni, la vostra tirannia). 

    L'inno fu stampato clandestinamente e divenne il canto di guerra degli oppositori sardi. 

    Durante tutto il componimento viene descritta nei minimi dettagli la disastrosa situazione economica che attanaglia l'isola in quel periodo. 

    Non mancano inoltre invettive contro gli oppressori piemontesi che, a detta del poeta, si premurano di sfruttare l'isola e le sue risorse preoccupandosi solo delle proprie ricchezze.  

    Da lungo tempo ritenuto un Inno Nazionale nella Cultura Popolare Sarda dal 2018, è stato dichiarato Inno ufficiale della Sardegna, passando alla storia come "la Marsigliese sarda”.

    La prima strofa, scritta in lingua sarda logudorese, esplicita quella che fu allora la sofferenza del popolo sardo, non dissimile da quella attuale:

    1. Procurade’ ‘e moderare,

    Barones, sa tirannia,

    Chi si no, pro vida mia,

    Torrades a pe' in terra!

    Declarada est già sa gherra

    Contra de sa prepotenzia,

    E cominzat sa passienzia

    In su pobulu a mancare.

    Nella traduzione in italiano:

    1. Cercate di frenare,

    Baroni, la tirannia,

    Se no, per vita mia,

    Ruzzolerete a terra!

    Dichiarata è la guerra

    Contro la prepotenza

    E sta la pazienza

    Nel popolo per mancare.


    Nelle successive strofe sono descritte, con chiarezza ed enfasi, tutte le sofferenze subite e alla fine mal sopportate del Popolo Sardo. 

    Il canto si conclude con un vigoroso grido d'incitamento alla rivolta, suggellato da un detto popolare di lapidaria efficacia: Cando si tenet su bentu est prezisu bentulare ("quando si leva il vento, bisogna trebbiare": strofa 47)


    47. Si no, chalchi die a mossu

    Bo 'nde segade' su didu.

    Como ch'est su filu ordidu

    A bois toccat a tèssere,

    Mizzi chi poi det essere

    Tardu s 'arrepentimentu;

    Cando si tenet su bentu

    Est prezisu bentulare.


    47. Non osi chi fu inerte

    Mordersi un dì le dita;

    Or che la tela è ordita

    Date una mano a tessere.

    Tardo vi potrebbe essere

    Un giorno il pentimento;

    Quando si leva il vento

    E' d'uopo trebbiare.


    Ai Signori Governanti della Sardegna.

    Sardegna svenduta in questi ultimi anni al peggiore offerente.

    Da Sardo verace sono convinto di poter intrepretare il parere di tutti coloro che hanno fatto della sardità una Bandiera di onore e orgoglio, aldilà di quella dei Quattro Mori. 

    La nostra Terra fa parte di un patrimonio che ci è stato consegnato dai nostri Avi, spesso a costo della loro stessa vita, affinché la preservassimo per tramandarla, tale e quale, ai nostri figli e nipoti. 

    È il posto più onorevole dove mantenere la nostra identità fisica e culturale. 

    È il nostro unico patrimonio. 

    Quando la politica non ha la stessa sensibilità è portata a considerarne soltanto il lato commerciale. 

    Il valore commerciale, cari governanti, non tiene conto dei sentimenti. 

    È solo una mera considerazione di opportunismo economico e politico. 

    I sentimenti sono ben altra cosa. Sono un fatto di nobiltà umana. Non hanno prezzo, non si vendono né tantomeno si comprano. 

    Le nostre idee, quando sono dettate dall'umiltà, dall'onestà, dall'intelligenza, ma soprattutto dalla nostra cultura, sono l'unica arma a nostra disposizione per poter debellare il malgoverno di una politica opportunista, disfattista, antidemocratica. 

    In questi ultimi tempi stiamo assistendo alla presa di posizione di una politica improvvisata, senza idee, se non quelle inadeguate e inappropriate ai tempi, vecchie e inutili quanto un certo tipo di politici che ancora imperversa nelle sorti della nostra terra.

    Spesso la soluzione a problemi importanti nasce dal confronto, non necessariamente tra persone cosiddette deputate ai fatti.

    La soluzione dei problemi nasce dal confronto delle persone che i problemi ce li hanno, cioè dalla gente comune. 

    Di questo ha paura la politica becera e antidemocratica. 

    Ha paura che la gente dialoghi tra di loro e quindi impone differenziazioni ideologiche, partitiche, campanilistiche che allontanano la gente dal dialogo.

    La Sardegna, in questi ultimi anni, sta subendo una devastazione economica, ambientale, culturale, non dissimile da ciò che il Grande PATRIOTA SARDO Francesco Ignazio Mannu descrisse con grande maestria nel 1795. 

    La Nostra Terra è diventata un supermarket dove chiunque disponga di un po’ di soldi, puliti o sporchi, può venire a comprare, e spesso a stravolgere, il nostro costume, la nostra cultura, il nostro ambiente. 

    Ecco perché parlo di svendita. 

    Ma purtroppo molti di voi, cari governanti, non capiranno appieno questo concetto ed è più che attuale, per noi Popolo Sardo, quell’incitazione che:

    CANDO SI TENET SU BENTU EST PREZISU BENTULARE 

    ("quando si leva il vento, bisogna trebbiare": strofa 47)

    Dio ci salvi e salvi la Sardegna.

    Fabio  Barbarossa

    COMANDA IL POPOLO, NON I DRAGHI

    Io ammiro chiunque, in questa fase della ingarbugliata vita politica della nostra nazione, riesca a trarre conclusioni intelligibili sul comportamento dei nostri governanti degli ultimi giorni. 

    Mi consideravo un uomo sufficiente colto e pensavo che una vita da medico, una laurea alla Bocconi, una vita passata a contatto diretto con la gente comune, con la sofferenza, con i soprusi, con le frustrazioni e le delusioni, fossero state sufficienti a darmi un orientamento in questa melma politica. 

    Ma così non é. 

    Ecco perché' la gente comune si allontana dalla politica e, ahimè', dalla gestione delle proprie cose. 

    Perché' non riesce più' a trovare un contesto logico e ideologico in cui inserirsi. 

    A pensare male, si fà peccato, ma spesso ci si azzecca. 

    Creare ad arte polveroni politico istituzionali potrebbe essere il modo migliore per poter nascondere nefandezze, soprusi, malgoverno, prevaricazioni. 

    Il tentativo di giustizia sociale, attuato dagli organi d'informazione e da una manipolazione opportunista della realtà, sono ormai la prassi quotidiana. 

    E allora, in questa giungla popolata di Draghi  e di bestie feroci, irta di sentieri illusori e pericolosi, c'è la certezza che la strada possa essere indicata dal più' forte, quello armato di machete, che attraverso convinzioni e convenienze personali, possa portare un popolo affamato direttamente in bocca ai leoni e alle tigri e ai Draghi della finanza nazionale ed internazionale.

    Come sempre succede nella vita di ognuno di noi, bisogna crederci e, se è necessario, ricominciare. 

    E come disse San Francesco d'Assisi:

    “Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all'improvviso vi sorprenderete a fare l'impossibile.”


    Fabio Barbarossa

    lunedì 15 marzo 2021

    A modo mio...

    Se non fosse che la sera, dopo una giornata di intenso lavoro, ritorno a casa mia e rivedo il volto dei miei amati figli, non avrebbe più senso seguire una strada maestra, irta di sacrifici e privazioni.

    La perdita della libertà, sia fisica che spirituale, a cui ci sottopongono ultimamente i ciarlatani della politica e i geni della incapacità totale, stanno paventando in ognuno di noi delle reazioni emotive, alcune volte moderate da una cultura benevola tramandataci dai nostri Avi, altre volte autodistruttive ed autolesionistiche che non lasciano più intravvedere, nella foschia e nella nebbia artificiale, un futuro dignitoso per noi e per le nostre future generazioni.

    Mi considero una persona moderata, morigerata, ragionevole ed accomodante. Ho rivisto col pensiero il mio passato e spesso intravvedo, attraverso i fatti della vita che mi circonda, un traguardo forse non tanto lontano in cui la mia esistenza concluderà il suo ciclo. Come ho detto tante volte, tutto questo non mi spaventa. Non ho paura di arrivare inesorabilmente ad un appuntamento con una entità che prima o poi ci prenderà tutti, e ribadisco tutti, per mano per traghettarci in un vuoto eterno da cui nessuno è mai tornato indietro a lamentarsi. A modo mio sono diventato giudice di me stesso e attraverso valutazioni quasi giudiziarie mi sono condannato senza appello per aver commesso dei fatti gravi, volontari o in buona fede, di cui sto pagando ancora oggi le conseguenze. Ma ciò che non riesco e mai riuscirò a tollerare è che sulla mia vita, e soprattutto su quella dei miei cari, qualcuno possa operare in termini di vantaggi speculativi rinnegando a sé stessi e alla propria coscienza quella fede che in tanti hanno riposto in loro. Anche io, come tanti, e come la storia insegna, pur essendo persone moderate, possiamo cambiare aspetto. Se nella nostra vita si dovesse vanificare il concetto di fratellanza, di Patria, di amore e gloria, di dignità e autonomia, tutto potrebbe cambiare anche a costo della nostra stessa vita.
    Fabio Barbarossa

    If it were not that in the evening, after a day of intense work, I return to my house and see the faces of my beloved children, it would no longer make sense to follow a high road, full of sacrifices and privations. The loss of freedom, both physical and spiritual, to which the charlatans of politics and the geniuses of total incapacity have lately subjected us, are fearful of emotional reactions in each of us, sometimes moderated by a benevolent culture handed down to us by our Avi, other times self-destructive and self-harm that no longer allow us to glimpse, in the mist and artificial fog, a dignified future for us and for our future generations. I consider myself a moderate, sober, reasonable and accommodating person. I have reviewed my past in my thoughts and often glimpse, through the facts of the life that surrounds me, a goal perhaps not so far away in which my existence will end its cycle. As I have said many times, all this does not scare me. I am not afraid of inexorably arriving at an appointment with an entity that sooner or later will take us all, and I repeat everyone, by the hand to ferry us into an eternal void from which no one has ever come back to complain. In my own way I became a judge of myself and through quasi-judicial evaluations I condemned myself without appeal for having committed serious acts, voluntary or in good faith, of which I am still paying the consequences today. But what I cannot and will never be able to tolerate is that on my life, and especially on that of my loved ones, someone can operate in terms of speculative advantages by denying to themselves and their conscience that faith that so many have placed in them. I too, like many, and as history teaches, despite being moderate people, we can change our appearance. If the concept of brotherhood, homeland, love and glory, dignity and autonomy were to vanish in our life, everything could change even at the cost of our own life. Fabio Barbarossa