sabato 5 marzo 2022

Come eravamo - Parte Prima





    Gli incontri conviviali


    L'alimentazione di allora era ben diversa da quella attuale. 

    Intanto i bambini obesi erano una rarità e questo già deponeva a vantaggio della dieta. 

    Alternative al pasto famigliare ce n'erano ben poche. 

    Si faceva colazione, si pranzava e si cenava in famiglia. 

    Tutti insieme. 

    Uno dei miei ricordi più cari, che ancora oggi regna nella mia memoria, era proprio una di queste colazioni. 

    Sveglia all'alba, pigiama pesante e poi appuntamento tutti insieme davanti al caminetto acceso e scoppiettante che mio padre ci faceva trovare tutti i giorni invernali. 

    Tavola imbandita con caffè latte, pane Cifraxiu sardo (vedi foto) abbrustolito, burro, zucchero e marmellata. 

    Ciò che riscaldava di più comunque non era il caminetto, ma quell'affetto umano che non era certo interrotto da cellulari o tablet di recente memoria. 

    Si parlava, si rideva, qualche volta si bisticciava, sempre nel reciproco rispetto, e si facevano i piani della giornata. Ripasso scolastico e poi, poco prima di uscire, dopo il canonico “ti sei lavato i denti?”, un bel bacio di mamma e via. 

    Il pranzo era sempre programmato e teneva conto, già da allora, delle più moderne regole alimentari, per le quali oggi spendiamo cifre da capogiro da dietologi, dietisti e psicologi vari: giovedì gnocchi, venerdì pesce, sabato trippa. 

    In caso di problemi si ricorreva al fatidico e temutissimo "Olio di Ricino". 

    Negli intervalli, a puro scopo riempitivo minestroni vari, legumi, cereali, e insalate di ogni colore. 

    La cena, che si svolgeva ad orari variabili a seconda delle stagioni, inverno ore 20, estate ore 21, era sempre leggera e a base di alimenti facilmente digeribili. 

    Ricordo tra le altre la minestrina di latte con le stelline. 

    Nessuno di noi si alzava la notte o si presentava davanti al frigorifero REX con annessa serratura, con i morsi della fame. 

    Era tutto calcolato e più che sufficiente. 

    L'artefice di tutte le faccende alimentari era la mia mamma. 

    Una cuoca semplice ed intelligente. 

    Capace di improvvisare come di mettere in atto ricette, attuali ancora oggi, e se so cucinare qualcosa lo devo a Lei. 

    Sempre amorevole e serena. 

    Se fosse mancato qualcosa in cucina, io ero il suo assistente e venivo incaricato di andare in qualche negozio o di chiedere alla vicina di casa. 

    In genere dalla signora Gilla, la mamma di Italo. 

    Ciò che ho imparato da Lei è la capacità di osare e il buon senso. Mio padre interveniva raramente in cucina. 

    L'unica volta che ricordo un suo intervento fu quando mamma venne ricoverata per qualche giorno:

    Pranzo di un giorno x:

    Tutti noi figli seduti a tavola, affamati e fiduciosi. 

    Mio padre decise per le uova fritte. 

    Sui fornelli grande padella di alluminio con manici di bachelite nera, allora non esistevano le antiaderenti, con abbondante quantità d'olio che a seguito di una sua distrazione diventò rovente. 

    Quando, sotto lo sguardo attento di noi quattro figli, mette il primo uovo sulla padella, questo salta in aria (BUM!!!) insieme ad una notevole quantità d'olio bollente che dipingono le pareti della cucina e disgraziatamente il suo naso che unto di olio si ustiona. 

    Fortunatamente aveva gli occhiali per cui non avemmo per il resto della nostra vita un padre non vedente. 

    Le nostre risate coprivano a malapena le sue parolacce: 

    “Occida (hai!) e Porco Giuda!!!” erano quelle più ripetute. 

    Da quel momento, e sino al ritorno di mia madre, fu incaricata una vicina per darci da mangiare, onorevolmente e senza rischi fisici.

    Fabio Barbarossa




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