giovedì 21 luglio 2011

SSN "tirare a campare"


Nella sanità italiana vige il sistema del
Tirare a campare

Mentre tutto il mondo cerca di dotarsi di un Sistema Sanitario Pubblico, esempio Stati Uniti e Cina, giusto per menzionare i più importanti, per garantire l’assistenza ad oltre un miliardo e mezzo di persone, con stratosferici investimenti economici (150 miliardi di euro in Cina), noi italiani continuiamo a varare leggi e leggine con la politica prevalente del “tirare a campare”.
Continuiamo ad avere un sistema sanitario arcaico, improntato solo su strategie amministrative ed economiche, che non hanno tenuto conto delle grandi rivoluzioni sociali, sanitarie ed etiche.
Nel 1978, Legge 833/78, avviene il varo della Riforma Sanitaria, con la costituzione del SSN, nuova idea per superare il sistema mutualistico. Pochi anni dopo ci si rende conto che la spesa sanitaria cresce in una situazione finanziaria nazionale di non compatibilità, e l’innovazione, assistenza ospedaliera, assistenza specialistica, assistenza farmaceutica, assistenza di base, elementi fondamentali di riorganizzazione sanitaria, continuano a mantenere caratteristiche mutualistiche.
Nel 1992 una legge istituisce le Aziende Sanitarie (ASL). Aziende con autonomia gestionale, amministrativa contabile, che hanno come obiettivo correggere le criticità della riforma del 1978, perseguendo politiche di efficienza, risparmio, appropriatezza, lotta agli sprechi, soprattutto attraverso la separazione della gestione dalla politica.
Criticità: quella economica diventa l’unica razionalità e l’etica perde la sua autonomia. La salute non dipende più dai diritti, ma dai mezzi a disposizione.
Per correggere gli errori dell’aziendalizzazione, nasce la Riforma Ter. Parola d’ordine: Razionalizzare. Troppo potere ai Direttori generali. Liberare risorse dall’interno del sistema e riutilizzarle nel sistema stesso (appropriatezza, economicità). Nascono i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), consentita la libera professione dei medici all’interno degli ospedali (Intramoenia).
Malgrado i LEA crescono tutti i tipi di disuguaglianze tra i cittadini.
Infine: Riforma del Titolo V della Costituzione.
Lo Stato Centrale, i Comuni e le Province, mantengono solo poteri di indirizzo; tutto viene trasferito alle Regioni. Finisce il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) e al suo posto nascono 21 Sistemi Sanitari Regionali (SSR). Conseguenze: aumento della spesa, disuguaglianze, malasanità.
Già nel 2008 il Professor Elio Borgonovi, Direttore del corso triennale “Gestione e Organizzazione in Sanità” alla SDA - Bocconi, a cui mi onoro aver partecipato, nonché uno degli ideatori della legge di riforma 833, manifestava il suo pentimento per i risultati ottenuti. Disse allora che il SSN sarebbe imploso da li a 5 anni. Ci siamo quasi. In questi anni si è badato più al contenitore che al contenuto. Si è data poca importanza a pilastri come qualità, rischio, errore, umanizzazione, compliance, responsabilità. I ruoli sanitari sono stati burocratizzati all’esasperazione. Il ruolo dell’Ospedale è ancora definito da norme vecchie ed inadeguate. L’Università è inadeguata alla formazione di Medici appropriati alle necessità. Sono aumentate le conflittualità interprofessionali, è aumentato vertiginosamente il contenzioso legale e così pure la medicina difensiva. Solo dalla risoluzione, o perlomeno, dalla presa di coscienza di queste criticità, e non da ulteriori leggi o accorgimenti finanziari, si potrà di nuovo sperare in un Sistema Sanitario, equo e solidale, fiore all’occhiello e vanto della nazione Italiana.

Dottor Fabio Barbarossa

mercoledì 20 luglio 2011

Libero arbitrio

Libero arbitrio


Sempre più spesso, solo con me stesso, ho voglia di scrivere le sensazioni che nascono nella mia mente. Non è per solitudine, neppure per protagonismo. E’ un bisogno impellente, che nasce dal mio intimo. Ho pensato potesse essere una sorta di “troppo pieno”, che tracima dalla mia movimentata esistenza. Oppure per lasciare ai posteri, cosa più probabile, le considerazioni su ciò che è stata la mia vita, direttamente, ed inesorabilmente, da parte dell’attore protagonista. Vorrei poter trovare, come è logico per lo svolgimento di un tema così ampio, un inizio, una continuazione, una fine. Ma non è semplice. La mia vita è fatta di tanti inizi, tante continuazioni, tante fini. Almeno per ora. Quella definitiva, probabilmente, non la scriverò io, almeno credo. Ho sempre avuto la convinzione di essere il vero artefice delle mie scelte, ma sino a pochi anni fa. Ero convinto che esistesse il libero arbitrio. Ognuno, in poche parole, era artefice della sua vita. Ho basato su questo concetto la maggior parte della mia esistenza, certe volte con scrupolo, sino all’ossessione, altre volte con un pizzico di fatalismo, quasi sempre rinnegato. Ho immaginato che tutta l’umanità rispondesse a questo principio, e per questo, sono stato critico, certe volte con cinismo, perché, in definitiva, ognuno aveva ciò che si meritava. Senza eccezioni. E così, attraverso considerazioni, molto spesso errate, rispondendo ad una logica sociale malata e di grande attualità, ho considerato bravo e meritevole chi ha, e incapace e indegno chi non ha. Sono caduto in questa trappola, aprioristicamente. L’ho capito solo quando la mia vita, malgrado avessi fatto tutte le mie scelte in modo ragionato, con scrupolo, è andata, in definitiva, come la sorte ha voluto. Certo, poteva andare peggio. Il fatto stesso che sia qui a scrivere testimonia che, tutto sommato, non è andata tanto male. Almeno per me. La mia esperienza, personale e professionale di medico, ha cambiato il mio modo di vedere il mondo circostante. E’ cambiato il mio metro di valutazione. Ci sono voluti 57 anni di esperienze, trent’anni di professione, per farmi capire che non sempre, anzi, quasi mai, siamo artefici del nostro destino. Il concetto della “tegola sulla testa”, è diventato più reale, crudelmente più reale.
Ad iniziare dal concepimento, siamo oggetto di scelte non nostre, le subiamo per tutta la prima infanzia e per gran parte dell’adolescenza. Raggiungiamo una fase intermedia, in cui proviamo a cimentarci, se ne abbiamo l’opportunità, con la nostra vita, sino alla maturità, e precipitiamo nella terza e quarta età, in cui, come nella prima infanzia, siamo in balia di fatti indipendenti dalla nostra volontà. Dall’attività lavorativa alla pensione. Anche la nostra morte, non è un problema che ci riguarda. Altri sceglieranno per noi. Anche quando ciò sarà in netto contrasto col nostro volere.

Fabio Barbarossa
Cagliari, 16 luglio 2011

pubblicato Unione Sarda