mercoledì 18 giugno 2014

Alle volte ritornano

Alle volte ritornano.
Ciclicamente, più sulla base di una disfunzione ormonale che per una reale e ragionevole necessità, qualcuno sale in cattedra e pontifica sulla salvezza dell’Umanità. E allora giù con soluzioni dell’ultim’ora, dettate da elucubrazioni che sanno più di borborigmi intestinali che di umili e ponderate razionalità. Improvvisano su tutto. Tutti si intendono di economia, di sanità, di lavoro, di sociale, di agricoltura, di medicina legale e giurisprudenza. Sono i famosi e indispensabili tuttologi, i professori Soiotutto, meglio definiti “Esperti”. Ogni quattro anni diventano persino direttori tecnici della Nazionale di calcio. La loro presunzione è talmente grande che, in prima battuta e sfruttando la sorpresa, riescono persino a convincere i miscredenti e gli atei. Si esercitano davanti allo specchio degli allocchi, mimando e ripetendo le loro elucubrazioni politico intellettuali. La loro forza di impatto sulla comunità è grande almeno quanto la loro scomparsa dalla scena con la coda tra le gambe. Desasparessidos. Alle volte ritornano, mascherati da vergini, traditi soltanto dall’anagrafe e dalla fedina penale lunga e nera come la fame e la disperazione della povera gente. 

Fabio Barbarossa

domenica 8 giugno 2014

ritorno al passato



Sono nato nella seconda metà del secolo scorso, dove neanche la più avveneristica previsione avrebbe potuto immaginare lo stile di vita dei giorni nostri. Il semplice possesso della manopola di una vecchia radio, a onde lunghe e medie dei miei nonni di Buggerru, mi proiettava in un futuro che solo un bambino di sei anni poteva immaginare. Ruotando quella manopola immaginavo che, a parte il mio piccolo mondo, esisteva un altro universo, estremamente più complesso, che parlava un'altra lingua e la cui voce compariva e scompariva e che proveniva sicuramente da molto lontano. Il più delle volte non capivo cosa dicessero, ma non aveva importanza, perchè ciò che contava era poter sognare di conoscere e vivere in quel mondo. Probabilmente provavo lo stesso entusiasmo di Guglielmo Marconi quando riuscì per la prima volta a comunicare con un mondo lontano. Le notti estive del sessanta presentavano un cielo stellato dove veniva quasi spontaneo contare le stelle. Se poi, in quell'oscurità, un puntino luminoso si muoveva in qualche direzione, il cuore mi batteva forte perchè poteva essere un'astronave marziana e non un semplice aereo di linea. In questo senso sono cresciuto. Accettando per buono tutto ciò che il mio mondo mi metteva a disposizione. Cosa c'era di meglio che andare in bicicletta? E in Vespa con mio padre? E, dopo poco tempo, con la Fiat 500 giardinetta? E dopo ancora con la Fiat 1100 familiare? Accettavo per buono, senza protestare, tutto ciò che mi veniva concesso. I giocattoli? Solo a Natale e per il compleanno. Oppure inventati con fildiferro, canne, scatolette di sardine disponibili qui e la. La televisione solo nel bar dopolavoro dei minatori e, dopo qualche tempo, a casa mia, per la tv dei ragazzi, alle cinque della sera, con tanti amici, pane burro e marmellata. All'età di 10 anni l'arrivo a Cagliari. La grande città. Per andare a scuola facevo mezzo km a piedi e nel tragitto salutavo cortesemente chiunque incontrassi per strada. Non riuscivo a capire perchè nelle città non ci si salutava. Da quel momento la mia vita ha preso il volo. Un vortice di esperienze, di gioie, dolori, entusiasmo. La famiglia, la casa, gli amici, il lavoro, non ti davano tregua e annoiarmi era un lusso pressocchè impossibile. Nel frattempo, la tecnologia diventava il filo conduttore della mia vita. Il tramite con il quale, e per il quale, si potevano coltivare i rapporti col mondo esterno. Sono aumentate le possibilità di girovagare nell'universo, ma sono scomparsi, specialmente nelle nuove generazioni nate nell'era dell'informatica, quei macro rapporti fatti di parole, sorrisi, e tutto ciò che ci fa sentire esseri umani. Dopo tanta strada e tanta acqua sotto i ponti, dopo tanto futuro, il mio pensiero va a quella manopola di una radio che a modo suo  mi faceva sentire e sognare un mondo sconosciuto. Oggi il mio desiderio più grande è quello di tornare al passato, non per ringiovanire, ma perchè dopo aver vissuto intensamente questo mondo, vorrei tornare a sedere davanti ad un caminetto, dove con serenità e ingenuità,  aspettavo che mio padre portasse il pane abbrustolito e latte fresco per poter fare insieme alla mia famiglia una sana e meravigliosa colazione.
Fabio Barbarossa
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giovedì 15 maggio 2014

quel ragazzo del 22



Era nato in un'epoca in cui, appena finita una guerra se ne preparava un'altra, in una Europa incerta e litigiosa, ne piu' e ne meno come quella attuale, dove i concetti di amore e fratellanza tra i popoli non erano stati ancora affermati.

All'età di vent'anni, Marinaio della Regia Marina Italiana, si trovo' catapultato in una guerra non sua per ben sei anni. A seguire, una vita di lavoro, onesta', rispetto, nell'intento, poi riuscito, di costruire una famiglia, che sarebbe diventata la sua piu' grande soddisfazione.

Una moglie, compagna di vita da oltre 65 anni, 4 figli e tanti nipoti. Una guida stabile, un faro, un porto sicuro nel mare tempestoso della vita per chiunque avesse avuto l'opportunita' di incontrarlo. Nel tempo le intemperie della vita hanno intaccato il suo fisico, ma non la sua mente. 

La sua mente, meraviglioso intreccio di esperienza e amore, si e' adeguata ai tempi, alla ricerca di stimoli e fatti, alla ricerca del senso della vita che ha riconosciuto nel contatto col mondo circostante. 

E' stato e sempre sara' un riferimento indispensabile per i suoi cari, prodigo di consigli e fatti manifestati col buon esempio. Non ha mai chiesto niente per se. Non ha mai presentato il conto alla vita. 
La sua positività e fiducia erano basati sul concetto, oggi sempre piu' remoto, di altruismo. 

Quando, in questi ultimi tempi, la sua salute si e' resa precaria, a causa di un male incurabile, ha accettato la sorte e rispettato la morte. Lo ha fatto pregando il suo Dio, con serenita', senza maledire ne rinnegare. Quando il male ha avuto il sopravvento sui suoi sensi, si e' affidato alle strutture che avevano il dovere di aiutarlo e, senza pretese, ha auspicato una morte serena e dignitosa. 

Cosa porti la nostra societa' a negare il rispetto per la vita, e ancor peggio per la morte, non mi e' dato sapere. So solo che questo ragazzo del 22, se n'e' andato, in una fredda stanza di un ospedale pubblico, nella quale gli e' stata negata, a lui e alla sua famiglia, la misericordia di vivere le sue ultime ore, i sui ultimi minuti, nel silenzio e nel dolore privato.

La sua vita e' terminata nel mezzo di un clamore, nel frastuono di una televisione accesa e a volume sostenuto, nelle risate e nelle urla di una folla in visita occasionale ai suoi compagni di stanza. Mio Padre se n'e' andato senza che io potessi sentire il suo respiro, senza che potessi vedere la sua Anima volare nel cielo dell' Infinito. 

Oggi sono qui, non per accusare ne tanto meno condannare, ma semplicemente per ricordare che se la vita si deve vivere con dignità  ancor più la dignità deve contraddistinguere la morte. E questo si puo' fare senza criteri specifici ne costi aggiuntivi. Lo si puo' fare seguendo i dettami del nostro cuore e la saggezza dei nostri avi, che attraverso il culto e il rispetto della vita, hanno tramandato sino a noi il rispetto e la cultura della morte.

Fabio Barbarossa
Cagliari, 14 maggio 2014