giovedì 15 maggio 2014

quel ragazzo del 22



Era nato in un'epoca in cui, appena finita una guerra se ne preparava un'altra, in una Europa incerta e litigiosa, ne piu' e ne meno come quella attuale, dove i concetti di amore e fratellanza tra i popoli non erano stati ancora affermati.

All'età di vent'anni, Marinaio della Regia Marina Italiana, si trovo' catapultato in una guerra non sua per ben sei anni. A seguire, una vita di lavoro, onesta', rispetto, nell'intento, poi riuscito, di costruire una famiglia, che sarebbe diventata la sua piu' grande soddisfazione.

Una moglie, compagna di vita da oltre 65 anni, 4 figli e tanti nipoti. Una guida stabile, un faro, un porto sicuro nel mare tempestoso della vita per chiunque avesse avuto l'opportunita' di incontrarlo. Nel tempo le intemperie della vita hanno intaccato il suo fisico, ma non la sua mente. 

La sua mente, meraviglioso intreccio di esperienza e amore, si e' adeguata ai tempi, alla ricerca di stimoli e fatti, alla ricerca del senso della vita che ha riconosciuto nel contatto col mondo circostante. 

E' stato e sempre sara' un riferimento indispensabile per i suoi cari, prodigo di consigli e fatti manifestati col buon esempio. Non ha mai chiesto niente per se. Non ha mai presentato il conto alla vita. 
La sua positività e fiducia erano basati sul concetto, oggi sempre piu' remoto, di altruismo. 

Quando, in questi ultimi tempi, la sua salute si e' resa precaria, a causa di un male incurabile, ha accettato la sorte e rispettato la morte. Lo ha fatto pregando il suo Dio, con serenita', senza maledire ne rinnegare. Quando il male ha avuto il sopravvento sui suoi sensi, si e' affidato alle strutture che avevano il dovere di aiutarlo e, senza pretese, ha auspicato una morte serena e dignitosa. 

Cosa porti la nostra societa' a negare il rispetto per la vita, e ancor peggio per la morte, non mi e' dato sapere. So solo che questo ragazzo del 22, se n'e' andato, in una fredda stanza di un ospedale pubblico, nella quale gli e' stata negata, a lui e alla sua famiglia, la misericordia di vivere le sue ultime ore, i sui ultimi minuti, nel silenzio e nel dolore privato.

La sua vita e' terminata nel mezzo di un clamore, nel frastuono di una televisione accesa e a volume sostenuto, nelle risate e nelle urla di una folla in visita occasionale ai suoi compagni di stanza. Mio Padre se n'e' andato senza che io potessi sentire il suo respiro, senza che potessi vedere la sua Anima volare nel cielo dell' Infinito. 

Oggi sono qui, non per accusare ne tanto meno condannare, ma semplicemente per ricordare che se la vita si deve vivere con dignità  ancor più la dignità deve contraddistinguere la morte. E questo si puo' fare senza criteri specifici ne costi aggiuntivi. Lo si puo' fare seguendo i dettami del nostro cuore e la saggezza dei nostri avi, che attraverso il culto e il rispetto della vita, hanno tramandato sino a noi il rispetto e la cultura della morte.

Fabio Barbarossa
Cagliari, 14 maggio 2014