venerdì 11 marzo 2016

su molenti sardu

Autonomia della Sardegna.

I Sindaci sardi chiedono allo stato di non essere abbandonati. Abbandonati da chi? Quale stato? Quale abbandono?
Forse noi sardi non ci siamo ancora accorti che l’abbandono non è avvenuto da parte dello stato, bensì a causa del nostro stesso, volontario, isolamento. Da tutti coloro che, dal  26 febbraio del 1948, anno in cui è stata approvata la legge di Autonomia della Sardegna, si sono avvicendati nel governo regionale con una serie di leggi e provvedimenti anomali, o decisamente sbagliati. Da allora abbiamo assistito, con la proverbiale indolenza e litigiosità che ci contraddistingue come popolo, al deterioramento e allo sfascio di tutte le potenzialità e risorse che avevano fatto della Sardegna una terra meravigliosa, unica, ricca di bellezze naturali e abitate da genti che erano riuscite, malgrado tutto, a preservarle. La politica regionale, non molto tempo fa, sosteneva che il futuro dell’isola si sarebbe fondato su un polo industriale petrolchimico,  su ricerche minerarie simili alla corsa dell’oro del Klondike, sulla produzione e vendita di bombe a mano, sull’assistenzialismo, meglio dire elemosina, della Comunità Europea. Tutto questo oggi si scopre essere la causa del disastro economico ambientale. Devastazioni di ogni genere. Strade statali, come la Carlo Felice 131, che in quanto a ritardi fa impallidire la Salerno Reggio Calabria. Inquinamenti ambientali senza rimedio, come la Miniera d’oro di Furtei. Disoccupazione giovanile al primo posto nella Comunità Europea, sotto di noi solo la Grecia. Instabilità economica e incertezza della sostenibilità del Sistema Sanitario Regionale. Calo demografico come conseguenza della più grande emigrazione  dei sardi dal dopoguerra ad oggi. E quindi, inesorabilmente, ecco il riapparire di una serie di personaggi: i cosiddetti Esperti della domenica. Gli esperti in acqua calda. I grandi scienziati dell’ovvio, esperti in Tuttologia. Cosa fanno? Si riuniscono in Convegni, a spese nostre, per pontificare che bisogna puntare su agro alimentare, turismo, artigianato. Grazie al cavolo. Lo sapeva anche il Signor Piga di Armungia di 102 anni. Che la Sardegna deve investire su piccole e medie aziende. Rigrazie al cavolo. Lo sapeva anche la Signora Simbula di San Nicolò Gerrei di 100 anni. Cosa fanno ora i politici, sempre gli stessi da oltre 30 anni, a mo di grandi luminari della salute? Fanno ricette. “Serve un altra idea di sviluppo. Il cammino sarà lungo” dicono. “Il Mezzogiorno deve ancora puntare sul modello di sviluppo industriale” insistono. Meno male che poi, dopo tutta questa scorpacciata indigesta di elucubrazioni,  gli esperti isolani e di tutto il mondo si confronteranno a Cagliari, in un Convegno Internazionale, per stabilire se noi, diffidenti e ignoranti isolani, ci fidiamo ancora dell’Autonomia Speciale che la Costituzione ci concede. E c’è bisogno di fare un convegno? Lo dico io. No! E come disse il signor Cubeddu di Ballao in simili circostanze, senza particolari studi di economia industriale ma con grande senso pratico, “Su molenti sardu du incosciasa un’otta scetti“ che in termini di economia ed alta finanza significa che non si devono rifare gli errori del passato. Concordo pienamente con lui.



Fabio Barbarossa

(Pubblicato su L'Unione Sarda del 20 marzo 2016)