martedì 7 agosto 2018

Finché c’è vita

La Corte Suprema britannica sentenzia che “il fine vita”, per pazienti in stato vegetativo permanente,  potrà essere deciso dalla Famiglia e dal Medico di Famiglia o altro medico. Sino ad oggi per interrompere la somministrazione delle sostanze nutritive e di base, acqua e cibo liquido, era necessaria una autorizzazione legale da parte della Court of  Protection, che doveva esprimersi sui singoli casi lasciando passare mesi e talvolta anni prima che si arrivasse a un pronunciamento finale,  con pesanti spese legali gravate sulle famiglie. Il magistrato inglese Lady Black, un nome un destino, ha sentenziato che non si incorre in nessuna violazione dei diritti umani se si stacca la spina ad un paziente in condizioni mediche irreversibili e che non ha nessuna speranza di riprendere coscienza. In poche parole, in Inghilterra,  la decisione presa dalla  famiglia e dal medico di famiglia sarà sufficiente a staccare le macchine per tenere in vita un familiare in stato vegetativo. In Italia, per queste situazioni, è in vigore dal dicembre 2017 la Legge sulle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (DAT) o più semplicemente Biotestamento. Questa legge da la facoltà ad ogni persona di esprimere le proprie volontà  in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto su accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche, compresa l’alimentazione e l’idratazione artificiale. La legge prevede una scrittura privata autenticata presentata personalmente allo stato civile del proprio Comune. La stessa scrittura può essere rinnovata, modificata e revocata in ogni momento. E’ evidente che la sentenza inglese ha suscitato in tutto il mondo un vespaio, soprattutto tra le associazioni in favore del fine vita e quelle anti eutanasia. Come medico di famiglia ho vissuto  e vivo a contatto con situazioni in cui è evidente uno stato clinico vegetativo irreversibile e ho constatato che chi vive al capezzale di questi esseri umani, familiari o meno, è dotato di un amore e uno spirito altruistico che non ha pari in nessuna altra circostanza. Assistere un familiare in stato vegetativo, dovuto ad esempio ad una demenza terminale, non può essere definito e nemmeno circostanziato. Non esiste medico, ne tanto meno magistrato, che possa ritenersi nel giusto nell’attuare un provvedimento quasi innaturale. La scelta, la difficile scelta, può essere attuata solo dalla persona interessata, e anche in questo caso viene ben difficile prenderla in considerazione perché nella vita di ognuno di noi prevale quell’innato istinto di conservazione che agisce sul corpo, preservandone la stessa esistenza, e sulla mente preservandone l’equilibrio.

 
Fabio Barbarossa

   Medico di Famiglia