mercoledì 9 novembre 2011

il mio lavoro, la mia vita....

Esile, ordinata, pulita, gentile e sorridente. Così si presenta una mia cliente anziana, ogni qualvolta mi reco al suo domicilio per valutare il suo stato di salute. Parliamo di tante cose, del tempo, di politica, della vita in generale. Lei risponde puntuale, con educazione e cortesia. Con una sensibilità rara e antica. Il suo discorso finisce sempre con un sorriso. Parla, ma sa ascoltare. Non mi interrompe mai, aspetta che io abbia finito e mi ascolta con tanto interesse. Mi fa sentire a mio agio, come ci si sente davanti ad una nonna, dolce e paziente. La mia visita le è gradita, e me lo dimostra. Parlare col dottore, in certe realtà, specialmente se c’è disponibilità reciproca, è un grande evento. Scambio due chiacchiere con i familiari, mi viene sempre offerto un caffè. Il tempo si ferma, il mondo perde la cruda realtà. Resterei ore ad ascoltare dalla sua voce il tempo che fu. Quasi mi dispiace andar via, ma il lavoro mi reclama. Solo in quel momento vedo nel suo volto un velo di tristezza. Chiede ancora un momento. Vuole ancora parlare. Vuole ancora ascoltare, come se non ci fosse più il tempo. Certe volte mi riconosce, altre volte mi chiede chi sono. Ma sa sempre come ci si comporta, con cortesia e rispetto. La mia paziente è affetta dalla malattia di Alzheimer. La sua mente è presente, ma alcune volte vola chissà dove. Poi ritorna, puntuale, dove aveva interrotto. Basta aspettare e tutto torna normale.
Ci salutiamo con affetto, con la promessa di rivederci al più presto. Questo è il mio lavoro. Questa è la mia vita.

Fabio Barbarossa

pubblicato Unione Sarda dell'11.11.11

lunedì 3 ottobre 2011

glorioso viale Europa...

Fortunatamente San Francesco guarda da un’altra parte, se no si accorgerebbe dello squallore in cui si trova ultimamente il belvedere di viale Europa. Ma se un Santo, per sua natura, è votato alla tolleranza, altrettanto non dovrebbero essere le autorità preposte alla salvaguardia del bene comune, specialmente quando si tratta di una delle più belle immagini di Cagliari, che recentemente si appresta, o pretende, di diventare meta e sede stabile del turismo internazionale. Se ci si reca in viale Europa durante le ore diurne, si ha la possibilità di vedere lo scempio in cui è stato ridotto. Bottiglie di vetro, integre e frantumate, che fanno da cornice. Spazzatura di ogni tipo. Salviette adibite alla conclusione di faccende riservate, segni tangibili di bisogni corporali. Scritte con bombolette spray in ogni dove. Persino il piedistallo del santo, a cui hanno vigliaccamente trafugato la targa di commemorazione, e il Santo stesso, sono oggetto di comunicazioni spray tra scriventi che denotano incuranza, ignoranza, ma prevalentemente imbecillità. Se poi si ha il coraggio di salire sul colle di notte, in bocca al lupo. Ci si deve augurare di uscirne sani e salvi. La strada è diventata meta, e ostaggio, di centinaia di auto, condotte da pazzi scatenati, che la usano come una pista da formula uno. Parcheggio selvaggio, alcolici e quant’altro. Ciliegina sulla torta, una sorta di camper, prevalentemente una baracca con le ruote, che troneggia nel punto più panoramico del monte, testimone di uno sfacelo con abbandono totale delle pur minime norme di decenza. Vedere per credere!


Fabio Barbarossa

pubblicato Unione Sarda 11 ottobre 2011

venerdì 23 settembre 2011

Sardegna autentica

Sfogliando le pagine di un depliant di una “qualunque” località turistica della Sardegna, sono stato illuminato da alcune considerazioni: “SARDEGNA AUTENTICA…TERRA ANTICA E FIERA…MERAVIGLIE DI UNA NATURA SELVAGGIA E INCONTAMINATA…CARATTERE FORTE DEL POPOLO SARDO…
A completamento del documento, le solite fotografie di scogli alternate a volti di gente sarda, entrambe scavate dal vento e dalle intemperie del tempo.
Ma noi sardi, siamo veramente come ci dipingono i depliant turistici?
E la Sardegna è ancora una terra antica, fiera e incontaminata?
Analizzando le cose superficialmente, forse si, ma se ci addentrassimo nella realtà ci accorgeremmo, purtroppo, che non è proprio così.
Iniziamo dalla terra: antica? Indubbiamente si; fiera? Ho i miei dubbi; incontaminata? Basta leggere la cronaca di tutti i giorni…forse un tempo.
Violentata da tutti i punti di vista, dall’uomo, dalla natura con la complicità dell’uomo, da scelte sbagliate, politiche e non, da cementificazioni selvagge, inquinamenti, incendi.
Altro che selvaggia e incontaminata…
E noi, Popolo Sardo? Siamo veramente determinanti per le sorti della nostra terra, per i nostri figli? O siamo semplicemente le comparse per le innumerevoli guide turistiche e per le tante migliaia di turisti che credono ancora che i sardi siano bassi, vestiti in costume, strani parassiti locali che infestano le meravigliose terre baciate dalla natura?
C’è da augurarsi che, leggendo i depliant turistici, ci ritorni nella mente e nel cuore, la voglia di essere SARDI, di amare la nostra terra e di difenderla da tutto ciò che possa danneggiarla e offenderla. Ad iniziare da noi stessi.
Fabio Barbarossa
pubblicato Unione Sarda 3 novembre 2011

sabato 30 luglio 2011

mi chiamo Birillo...

Buongiorno…mi chiamo Birillo,
sono un cane di 6 anni, di grossa taglia, snello, forte, di indole pacifica. Vi voglio raccontare ciò che mi è successo qualche giorno fa. Sono addetto alla sorveglianza del porticciolo di Su Siccu, a Cagliari. Svolgo il mio lavoro con tenacia, ma non disdegno la simpatia.
Torniamo ai fatti. Non so perché, né per come, tre giorni fa la serata, calda ma ventilata, tendeva a concludersi senza niente di particolare. Stavo per addormentarmi, quando, una musica chiassosa e una voce orripilante, ha scosso le mie sensibilissime orecchie. Mi è stato detto poi che ci fosse un certo Fibra Fabri. Una sorta di umanoide che ulula, preferibilmente la notte. Non avendo mai sentito niente di simile, sono fuggito, lasciandomi alle spalle tutto questo baccano. Cammina cammina, sono arrivato molto lontano, perdendomi, senza poter chiedere a nessuno informazioni sulla strada. Pare che di notte gli umani scorrazzino all’interno delle loro scatolette, lanciate a folle velocità, dopo aver bevuto qualunque cosa, e odorato qualunque altra. Ho rischiato più volte di essere schiacciato. Insomma a farla breve sono arrivato vicino a un grande negozio. Gieffe, località Bellavista, a Quartu S. Elena. Ho pensato, se proprio non ritrovo la mia casa e il mio padrone, qualcuno mi darà da mangiare. Una volta, facendo un giro in città, ho visto una strana usanza: i miei simili, coricati per ore su un marciapiede, con un padrone un po’ strano e una voce incomprensibile, aspettavano che qualcuno, non si sa perché, buttasse delle piccole rotelline dentro una scatoletta. Pippo, un mio amico di città, mi ha detto che vengono chiamati Panca bestia. Ho pensato, forse se mi trovo anch’io un padrone così strano, posso lavorare e mangiare. Ma non ho fatto il conto con le mie forze. Dopo quella grande camminata, mi è venuta una stanchezza terribile. Mi sono coricato in diversi ingressi del supermercato cercando di racimolare un po’ d’acqua e qualcosa da mangiare. Gli umani hanno strane idee su noi cani. Tutti quelli che passavano, armati di un grande cestello con le ruote, ripetevano la stessa frase. “poverino, se non avessi avuto altri 36 cani, 23 gatti, cinque figli e un topo ammaestrato, l’avrei portato via con me”. Poi se ne andavano scuotendo la testa. Al massimo qualcuno più intraprendente, mi ha portato un bicchiere d’acqua e una scatoletta di 30 grammi di una poltiglia nauseabonda. Forse volevano uccidermi? Fino ad allora nessuno aveva ancora capito che io avevo già una casa, un padrone, strano ma simpatico, degli amici. E poi avevo anche un lavoro. Finalmente, ieri, quando ormai pensavo di diventare uno dei tanti cani gonfiati e puzzolenti che si trovano a bordo strada, alcune persone, con grande spirito pratico, hanno pensato che io sicuramente avevo un padrone, e che sarebbe stato importante ritrovarlo. Una mamma con la sua figlia, simpatiche e molto belle, un signore, un po’ abbondante, che curava gli umani, con una sua amica, hanno pensato di chiamare qualcuno con un strano apparecchietto, che tutti gli umani posseggono, compresi i loro cuccioli. Chiama e richiama, dopo poco tempo, è venuto un altro signore. Lo chiamavano dottore veterinario. Credo di averne visto uno tanti anni fa quando, mi fece salire su un lettino e mi punse con un ago una natica. Eppure sembrava così bravo. Insomma, questo dottore veterinario, ha aperto una strana borsa e ne ha tirato fuori uno strano aggeggio che mi passava e ripassava sul collo. Ho scoperto che ai cani i documenti glieli infilano sotto la pelle. Che strani questi umani. Non so come, ma quando si è sentito uno strano pigolio, tutti sono stati contenti “ha il codice, ha il codice”. Di quale codice parlassero non l’ho mai capito. Ma dopo poche ore, il mio padrone si è fatto vivo e io l’ho abbracciato per tanto tempo. L’ho anche leccato. Poi ho ringraziato tutti i miei nuovi amici, li ho invitati a casa mia, sono salito in macchina col mio padrone, e insieme siamo tornati a Su Siccu.
Mancandomi solo la parola, ho pensato di scrivere per ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato, compresi i signori del supermarket Gieffe che tanto mi hanno voluto bene, e in particolare una bella signora che mi ha dato biscotti a forma di ossicini.
Un abbraccio a tutti
Birillo

Fatto realmente accaduto tra il 27 e il 29 luglio 2011.

mercoledì 27 luglio 2011

gli imbecilli sono tra noi...


Alcune volte si mascherano, altre volte no. Cambiano aspetto, ma li riconosci comunque dagli atteggiamenti e dai fatti. Si mimetizzano. Non hanno sesso, ne razza. La loro arma vincente è la perseveranza. Chi diventa imbecille, lo sarà per sempre. Come una sorta di medaglia tatuata sul petto. Generalmente la sua caratteristica si manifesta col tempo. Imbecilli non si nasce, lo si diventa. Magari attraverso una predisposizione familiare, genetica, o ambientale. Non è come l’ignorante, che ignora. L’imbecille è proprio imbecille di suo. E se ne compiace. 
   Dovunque si trovi, non lesina il suo prezioso intervento. Lo elargisce come un suo marchio e ne delimita l’ambiente. Non ha paura di confronti. Però non gareggia perché sa che se dovesse partecipare ad una gara di imbecillità, arriverebbe secondo. Perché? Perché è imbecille. Non è influenzato dal grado di cultura. 
  L’imbecille può essere ignorante, e allora può suscitare comprensione, oppure è colto, e in questo caso usa la sua cultura come cassa di risonanza. Non mira alla quantità della sua dote, ma alla qualità. La sua è pura essenza. Malgrado si trovi in luogo ostile, tende comunque ad ambientarsi in breve tempo. 
 Si accoppia preferibilmente con individui della stessa qualità, non necessariamente di sesso opposto, e quando può, esplica una progenie alla quale impartisce, già dalla tenera età, nozioni di imbecillità. Ben lungi dall’essere in estinzione, si riproduce ovunque. Tutti gli habitat gli sono congeniali. Sa che sua madre, o sua moglie, o sua figlia saranno sempre incinta, in attesa di un nuovo imbecille.

  La mia conoscenza della materia nasce dalla frequentazione, costante, di intere generazioni di imbecilli e, fortunatamente, ho manifestato, nel tempo, una sorta di immunizzazione che mi protegge da attacchi di ogni entità. Almeno per ora. 
   Chiedo umilmente scusa a tutti coloro che, leggendo questo scritto, si sono identificati nella suddetta categoria. Forza con i commenti. Giusto per avvalorare la mia tesi.

Fabio Barbarossa

giovedì 21 luglio 2011

SSN "tirare a campare"


Nella sanità italiana vige il sistema del
Tirare a campare

Mentre tutto il mondo cerca di dotarsi di un Sistema Sanitario Pubblico, esempio Stati Uniti e Cina, giusto per menzionare i più importanti, per garantire l’assistenza ad oltre un miliardo e mezzo di persone, con stratosferici investimenti economici (150 miliardi di euro in Cina), noi italiani continuiamo a varare leggi e leggine con la politica prevalente del “tirare a campare”.
Continuiamo ad avere un sistema sanitario arcaico, improntato solo su strategie amministrative ed economiche, che non hanno tenuto conto delle grandi rivoluzioni sociali, sanitarie ed etiche.
Nel 1978, Legge 833/78, avviene il varo della Riforma Sanitaria, con la costituzione del SSN, nuova idea per superare il sistema mutualistico. Pochi anni dopo ci si rende conto che la spesa sanitaria cresce in una situazione finanziaria nazionale di non compatibilità, e l’innovazione, assistenza ospedaliera, assistenza specialistica, assistenza farmaceutica, assistenza di base, elementi fondamentali di riorganizzazione sanitaria, continuano a mantenere caratteristiche mutualistiche.
Nel 1992 una legge istituisce le Aziende Sanitarie (ASL). Aziende con autonomia gestionale, amministrativa contabile, che hanno come obiettivo correggere le criticità della riforma del 1978, perseguendo politiche di efficienza, risparmio, appropriatezza, lotta agli sprechi, soprattutto attraverso la separazione della gestione dalla politica.
Criticità: quella economica diventa l’unica razionalità e l’etica perde la sua autonomia. La salute non dipende più dai diritti, ma dai mezzi a disposizione.
Per correggere gli errori dell’aziendalizzazione, nasce la Riforma Ter. Parola d’ordine: Razionalizzare. Troppo potere ai Direttori generali. Liberare risorse dall’interno del sistema e riutilizzarle nel sistema stesso (appropriatezza, economicità). Nascono i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), consentita la libera professione dei medici all’interno degli ospedali (Intramoenia).
Malgrado i LEA crescono tutti i tipi di disuguaglianze tra i cittadini.
Infine: Riforma del Titolo V della Costituzione.
Lo Stato Centrale, i Comuni e le Province, mantengono solo poteri di indirizzo; tutto viene trasferito alle Regioni. Finisce il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) e al suo posto nascono 21 Sistemi Sanitari Regionali (SSR). Conseguenze: aumento della spesa, disuguaglianze, malasanità.
Già nel 2008 il Professor Elio Borgonovi, Direttore del corso triennale “Gestione e Organizzazione in Sanità” alla SDA - Bocconi, a cui mi onoro aver partecipato, nonché uno degli ideatori della legge di riforma 833, manifestava il suo pentimento per i risultati ottenuti. Disse allora che il SSN sarebbe imploso da li a 5 anni. Ci siamo quasi. In questi anni si è badato più al contenitore che al contenuto. Si è data poca importanza a pilastri come qualità, rischio, errore, umanizzazione, compliance, responsabilità. I ruoli sanitari sono stati burocratizzati all’esasperazione. Il ruolo dell’Ospedale è ancora definito da norme vecchie ed inadeguate. L’Università è inadeguata alla formazione di Medici appropriati alle necessità. Sono aumentate le conflittualità interprofessionali, è aumentato vertiginosamente il contenzioso legale e così pure la medicina difensiva. Solo dalla risoluzione, o perlomeno, dalla presa di coscienza di queste criticità, e non da ulteriori leggi o accorgimenti finanziari, si potrà di nuovo sperare in un Sistema Sanitario, equo e solidale, fiore all’occhiello e vanto della nazione Italiana.

Dottor Fabio Barbarossa

mercoledì 20 luglio 2011

Libero arbitrio

Libero arbitrio


Sempre più spesso, solo con me stesso, ho voglia di scrivere le sensazioni che nascono nella mia mente. Non è per solitudine, neppure per protagonismo. E’ un bisogno impellente, che nasce dal mio intimo. Ho pensato potesse essere una sorta di “troppo pieno”, che tracima dalla mia movimentata esistenza. Oppure per lasciare ai posteri, cosa più probabile, le considerazioni su ciò che è stata la mia vita, direttamente, ed inesorabilmente, da parte dell’attore protagonista. Vorrei poter trovare, come è logico per lo svolgimento di un tema così ampio, un inizio, una continuazione, una fine. Ma non è semplice. La mia vita è fatta di tanti inizi, tante continuazioni, tante fini. Almeno per ora. Quella definitiva, probabilmente, non la scriverò io, almeno credo. Ho sempre avuto la convinzione di essere il vero artefice delle mie scelte, ma sino a pochi anni fa. Ero convinto che esistesse il libero arbitrio. Ognuno, in poche parole, era artefice della sua vita. Ho basato su questo concetto la maggior parte della mia esistenza, certe volte con scrupolo, sino all’ossessione, altre volte con un pizzico di fatalismo, quasi sempre rinnegato. Ho immaginato che tutta l’umanità rispondesse a questo principio, e per questo, sono stato critico, certe volte con cinismo, perché, in definitiva, ognuno aveva ciò che si meritava. Senza eccezioni. E così, attraverso considerazioni, molto spesso errate, rispondendo ad una logica sociale malata e di grande attualità, ho considerato bravo e meritevole chi ha, e incapace e indegno chi non ha. Sono caduto in questa trappola, aprioristicamente. L’ho capito solo quando la mia vita, malgrado avessi fatto tutte le mie scelte in modo ragionato, con scrupolo, è andata, in definitiva, come la sorte ha voluto. Certo, poteva andare peggio. Il fatto stesso che sia qui a scrivere testimonia che, tutto sommato, non è andata tanto male. Almeno per me. La mia esperienza, personale e professionale di medico, ha cambiato il mio modo di vedere il mondo circostante. E’ cambiato il mio metro di valutazione. Ci sono voluti 57 anni di esperienze, trent’anni di professione, per farmi capire che non sempre, anzi, quasi mai, siamo artefici del nostro destino. Il concetto della “tegola sulla testa”, è diventato più reale, crudelmente più reale.
Ad iniziare dal concepimento, siamo oggetto di scelte non nostre, le subiamo per tutta la prima infanzia e per gran parte dell’adolescenza. Raggiungiamo una fase intermedia, in cui proviamo a cimentarci, se ne abbiamo l’opportunità, con la nostra vita, sino alla maturità, e precipitiamo nella terza e quarta età, in cui, come nella prima infanzia, siamo in balia di fatti indipendenti dalla nostra volontà. Dall’attività lavorativa alla pensione. Anche la nostra morte, non è un problema che ci riguarda. Altri sceglieranno per noi. Anche quando ciò sarà in netto contrasto col nostro volere.

Fabio Barbarossa
Cagliari, 16 luglio 2011

pubblicato Unione Sarda

mercoledì 22 giugno 2011

piscine che affondano


Non credo ai miei occhi! Anche l'Esperia, grande Società sportiva, alle prese con Abbanoa. All'inizio dell'anno in corso, la stessa Rari Nantes ha avuto gli stessi problemi. Acqua non pagata per cifre da capogiro, piscine chiuse. Sembra che ad Abbanoa non vadano proprio a genio le piscine cagliaritane, oppure le società sportive fanno uso smodato dell'acqua. Dico sempre ai miei figli di chiudere il rubinetto quando l'acqua non è necessaria. Evidentemente gli amministratori di Abbanoa stanno adottando lo stesso sistema. Proprio alcune settimane fà, ho iscritto i miei due figli alla società sportiva Esperia, pagando in anticipo quattro settimane, tutto compreso, e già ieri non hanno potuto fare uso della piscina. Oggi non so. Domani chissà. Non riesco a capire di chi siano le responsabilità. Debiti storici? Abbanoa insensibile alle necessità degli amministratori societari? L'unica cosa che vedo sono le faccette tristi e accaldate dei miei figlietti, di cinque e sei anni, ai quali è stato negato il piacere di sguazzare nel prezioso e conteso liquido. Che le società Rari Nantes ed Esperia non navigassero in buone acque, era evidente già ad occhio. Situazioni generali logistiche un pò dismesse, spogliatoi "lievemente" in disarmo, giardini antistanti e strutture murarie "livemente" decrepite. Ma lo stesso stile spartano dell'attività sportiva potrebbe rientrarci. Ne è passata di acqua sotti i ponti, da quando, io stesso, ragazzino di buone speranze, nuotavo spensieratamente nelle buone acque della Rari Nantes. Al massimo l'acqua era un po freddina, ma almeno c'era. Ma non c'era Abbanoa. Io, cittadino e acquanauta Cagliaritano, lancio provocatoriamente una proposta. Ognuno di noi, cagliaritani di vecchia e nuova generazione, ogni giorno, andando a lavoro o passando da quelle parti, porti, da casa sua, un bidoncino d'acqua nelle rispettive piscine in difficoltà, cosi, goccia dopo goccia, litro dopo litro, potremmo fare a meno del mostro idrovorico e potremmo ridare il sorriso ai nostri figli e agli amministratori delle piscine. Alternativa, iscrivere ed iscriversi, per praticare lo sport acquatico, alla prossima società sportiva "Abbanantes" o "Abbesperia".
Fabio Barbarossa

sabato 21 maggio 2011





La protesta dei minatori di Silius


Una vita da eroi nelle viscere della terra


Unione Sarda Sabato 23 giugno 2007


S ono nato nel 1954 in un paese minerario, Ingurtosu, e, a partire dai miei nonni, tutti i maschi della mia famiglia hanno lavorato in miniera, l´unico che l´ha scampata è stato mio padre. Ho vissuto l´infanzia con l´odore del carburo delle lampade ad acetilene. I nostri giochi avvenivano necessariamente in vicinanza dei pozzi ed era facile vedere il cambio turno dei minatori: tristi e puliti all´entrata, sporchi e felici in uscita. Non era raro sentire le sirene di allarme e la corsa della gente all´imbocco della miniera, bimbi compresi, quando qualcosa giù andava male. L´angoscia delle donne era tangibile e la solidarietà umana faceva parte del loro codice genetico. In ogni caso, il sogno di noi ragazzini era entrare nelle gallerie per vedere ciò che non era possibile immaginare, se non attraverso i racconti di chi in miniera scendeva tutti i giorni.
Negli anni Sessanta, la chiusura delle miniere ha determinato la fine del mio paese, e a 11 anni sono arrivato a Cagliari. Da vent´anni lavoro come medico di famiglia nel Gerrei e i giorni scorsi, a seguito della vertenza sindacale dei minatori di Silius, culminata nell´occupazione della miniera, ho avuto l´inesorabile necessità di correre in loro aiuto, soprattutto dal punto di vista sanitario. Il mio posto era giù con loro, e, con le necessarie autorizzazioni, sono sceso più volte a 500 metri sotto terra. La mia angoscia era annullata dalla loro serenità. Operai a volte giovanissimi, altre volte provati, nel carattere e nelle rughe, dagli anni passati sotto terra. Erano lì per difendere il loro lavoro, per se stessi e per le famiglie, affinché i loro figli non dovessero affrontare la pena e i rischi di vivere nelle viscere della terra. Se da piccolo li ritenevo eroi, attraverso l´immaginario di un bambino, ora, da grande, ne ho la certezza. Eroi senza tempo e senza paura, che sereni misurano il loro coraggio con le insidie della terra. Ho vissuto con loro pochi giorni, sufficienti ad apprezzare chi, incondizionatamente, difende, con caparbietà, il posto di lavoro, anche quando altri sarebbero fuggiti. Attraverso i loro volti ho rivisto i miei antenati e ho capito quanto i loro sacrifici siano stati importanti per permettermi una vita agiata.
Questi uomini meritano il rispetto e l´attenzione di tutti, ma in particolare dei politici che governano la nostra terra. Il 28 maggio scorso, poco prima di uscire dalla miniera occupata, un giovane minatore mi si è avvicinato e, prima di rivedere la sua famiglia, dopo quattro giorni, mi ha chiesto se era disdicevole commuoversi davanti a tutti. La mia risposta è stata che solo un vero uomo ha il coraggio di manifestare, anche con il pianto, i propri sentimenti, e due lacrime hanno allagato i miei occhi.
Le mie parole vogliono testimoniare ciò che, al di là della conquista sindacale, non sarà mai scritto sui giornali, ma sarà patrimonio esclusivo di chi, in prima persona, ha vissuto quei momenti, belli o brutti che fossero.
FABIO BARBAROSSA

lunedì 16 maggio 2011


carissimi,
prima di tutto mi presento: Fabio Barbarossa, 56 anni, medico di famiglia in provincia di Cagliari, appassionato da sempre di moto e di tutto ciò che ci gira intorno. Vengo al dunque: qualche giorno fà, vicino al centro in cui lavoro, San Nicolò Gerrei, purtroppo, l'ennesimo incidente motociclistico con l'ennesimo morto. Questa volta un motociclista tedesco, in vacanza, che attraversava la Sardegna come altre migliaia in questo periodo, in cui il clima è mite, poco piovoso, e sopratutto, non c'è l'affollamento turistico dei prossimi mesi estivi. Ottima moto, ottima attrezzatura, guida al seguito, ma, purtroppo, guard rail in agguato. Una curva falsa, più lunga del previsto, scivolone e urto terribile contro i paletti del guard rail. Morte sul colpo. 46 anni, moglie e tre figli. Qualche decina di metri più avanti, stessa curva, altro ricordo, qualche anno fà, segnalato da una croce con pochi fiori, altro motociclista, molto giovane, stesse condizioni, stessa dinamica, stessa sorte. Non molto lontano, altro incidente motociclistico, altro morto, stessa dinamica, altro guard rail. Parlo col giornalista della stampa regionale e sottolineo la pericolosità della strada con i suoi guard rail, lui recepisce e pubblica la mia considerazione. Parlo col Comandante dei Carabinieri della stazione locale, e anche lui condivide e si ripromette di fare una segnalazione. Anni fà, io stesso, percorrendo la stessa strada, a causa di un'auto che mi tagliava la strada, uscii di strada in moto, e la mia più grande fortuna fu che caddi in una zona protetta da un vecchio muro, piuttosto che da un "moderno" guard rail. Mi viene voglia di capire meglio, di conoscere le norme, e per questo cerco su internet tutto ciò che concerne il problema. Scopro che le circostanze sono comuni a tutta Italia, che il numero di vittime è altissimo, che il sangue è stato versato inutilmente, che le barriere dei guard rail sono pericolose per tutti, non solo per i motociclisti, che le norme nazionali non sono adeguate e che malgrado le proteste e le considereazioni di gran parte degli utenti della strada, non si cambi una virgola in materia di sicurezza. Recentemente ho collaborato alla stesura del Piano di Prevenzione Regionale, in cui si è trattata anche l'infortunistica stradale con un proggetto denominato SICURVIA. Leggo che esistono tanti movimenti a favore di una revisione delle norme di sicurezza, in particolare sui guard rail. Gli stessi organi di stampa affrontano spesso e volentieri tali problematiche, ma purtroppo solo in concomitanza di eventi drammatici. Le riviste specializzate e autorevoli come la Vostra, hanno canali aperti e fanno pressioni in tutte le direzioni, ma purtroppo i risultati sono di una vergognosa incuranza. Nella mia professione, e, disgraziatamente, nella mia personale esperienza, ho vissuto la morte di giovani ragazzi ed ho la consapevolezza che poche azioni decise e decisive, avrebbero potuto salvargli la vita. Ma purtroppo, le esperienze di pochi, lontane anni luce da chi dovrebbe risolvere i problemi, sono solo patrimonio di pietà umana che mai potranno essere comprese se non da chi ha vissuto questi drammi in prima persona. Mi voglio fare testimone di questo dramma versando anche io la mia piccola goccia nel deserto dell'incuranza. E questo è solo il primo passo...
Fabio Barbarossa (mail inviata a "Motociclismo")

lunedì 9 maggio 2011

E venne il giorno

E venne il giorno in cui si diventa critici con se stessi, e non ci si perdona facilmente. Tutto torna alla mente. L’età lo consente. C‘è materiale sufficiente per le considerazioni. Un giorno inizia, un giorno finisce. Nel mezzo l’oblio. Intorno la vita nel suo insieme, complesso, di persone e fatti. Vorresti iniziare, ma non sai da dove. Oggi? ieri? non da domani. Tutto si ferma, ma quando cerchi di capire, fugge via lontano. Le immagini si confondono, i volti si sovrappongono, i fatti si intrecciano, la mente si oscura e fai fatica a pensare. La tua vita inizia in un giorno chiaro alla memoria, imprecisato, senza tempo, senza colori, senza rumori. Sei tu. Piccolo solo nella statura, grande nella consapevolezza. La vita inizia e non sai perché, non sai fin dove. Ma non ti interessa. Tutto và nella stessa direzione. Non si può scegliere. Non si può cambiare. A malapena sai chi sei, ma non perché. Immagini qualcosa che traspare dal contesto. E pensi che la vita sia così. Immagini. Immagini che la vita sia eterna. Non capisci la felicità, non capisci il dolore, non conosci la morte. Crescendo, un giorno dopo l’altro, la vita si delinea e si rafforza l’esperienza. Conosci la gioia, la tristezza, il dolore, la delusione, la forza, il coraggio, la speranza. Speri, ma non sai cosa. Cosa ti riserva il futuro. Ti abitui alla vita. Senza troppe domande. Senza troppi perché. Ne hai la forza. Non hai sensi di colpa. Non hai colpe. Tutto è dovuto, la vita ti deve. La sfidi. Sei invulnerabile, sei immortale. Non capisci, ne giustifichi, chi ti sta intorno. Hai solo una spinta interiore che non ammette alternative. E così, col tempo, cresci. Ti rafforzi. Spazzi via tutto ciò che ti sta davanti. Devi raggiungere l’obbiettivo, a qualunque costo. L’amore passa in secondo piano. Il desiderio non ha direzione. Sai che puoi raggiungere tutto. Sei stato educato per questo. Non ha importanza chi ti sta intorno. Tutto viene consumato o gettato via. Sei refrattario. La vita comunque ti prova e la tua corazza comincia a sgretolarsi. Incontri l’ingiustizia. Conosci la delusione. Ti scontri con la disperazione. Scopri la passione, l’amore, la tenerezza. Si delinea la realtà. Cerchi il senso della vita. E lo trovi nelle cose che avevi davanti ma che non avevi visto. Cambia la dimensione del tempo. Tutto si contrae. Cerchi di rivivere il passato. Di vivere nell’armonia, nell’amore. Ami la vita. Ami le persone. Ami l’amore. Vorresti amare ed essere amato. Dentro di te cresce la voglia di vivere e capisci il valore della vita. Ami un sorriso, un gesto. Ami l’amore. Fabio Barbarossa