sabato 21 maggio 2011





La protesta dei minatori di Silius


Una vita da eroi nelle viscere della terra


Unione Sarda Sabato 23 giugno 2007


S ono nato nel 1954 in un paese minerario, Ingurtosu, e, a partire dai miei nonni, tutti i maschi della mia famiglia hanno lavorato in miniera, l´unico che l´ha scampata è stato mio padre. Ho vissuto l´infanzia con l´odore del carburo delle lampade ad acetilene. I nostri giochi avvenivano necessariamente in vicinanza dei pozzi ed era facile vedere il cambio turno dei minatori: tristi e puliti all´entrata, sporchi e felici in uscita. Non era raro sentire le sirene di allarme e la corsa della gente all´imbocco della miniera, bimbi compresi, quando qualcosa giù andava male. L´angoscia delle donne era tangibile e la solidarietà umana faceva parte del loro codice genetico. In ogni caso, il sogno di noi ragazzini era entrare nelle gallerie per vedere ciò che non era possibile immaginare, se non attraverso i racconti di chi in miniera scendeva tutti i giorni.
Negli anni Sessanta, la chiusura delle miniere ha determinato la fine del mio paese, e a 11 anni sono arrivato a Cagliari. Da vent´anni lavoro come medico di famiglia nel Gerrei e i giorni scorsi, a seguito della vertenza sindacale dei minatori di Silius, culminata nell´occupazione della miniera, ho avuto l´inesorabile necessità di correre in loro aiuto, soprattutto dal punto di vista sanitario. Il mio posto era giù con loro, e, con le necessarie autorizzazioni, sono sceso più volte a 500 metri sotto terra. La mia angoscia era annullata dalla loro serenità. Operai a volte giovanissimi, altre volte provati, nel carattere e nelle rughe, dagli anni passati sotto terra. Erano lì per difendere il loro lavoro, per se stessi e per le famiglie, affinché i loro figli non dovessero affrontare la pena e i rischi di vivere nelle viscere della terra. Se da piccolo li ritenevo eroi, attraverso l´immaginario di un bambino, ora, da grande, ne ho la certezza. Eroi senza tempo e senza paura, che sereni misurano il loro coraggio con le insidie della terra. Ho vissuto con loro pochi giorni, sufficienti ad apprezzare chi, incondizionatamente, difende, con caparbietà, il posto di lavoro, anche quando altri sarebbero fuggiti. Attraverso i loro volti ho rivisto i miei antenati e ho capito quanto i loro sacrifici siano stati importanti per permettermi una vita agiata.
Questi uomini meritano il rispetto e l´attenzione di tutti, ma in particolare dei politici che governano la nostra terra. Il 28 maggio scorso, poco prima di uscire dalla miniera occupata, un giovane minatore mi si è avvicinato e, prima di rivedere la sua famiglia, dopo quattro giorni, mi ha chiesto se era disdicevole commuoversi davanti a tutti. La mia risposta è stata che solo un vero uomo ha il coraggio di manifestare, anche con il pianto, i propri sentimenti, e due lacrime hanno allagato i miei occhi.
Le mie parole vogliono testimoniare ciò che, al di là della conquista sindacale, non sarà mai scritto sui giornali, ma sarà patrimonio esclusivo di chi, in prima persona, ha vissuto quei momenti, belli o brutti che fossero.
FABIO BARBAROSSA

lunedì 16 maggio 2011


carissimi,
prima di tutto mi presento: Fabio Barbarossa, 56 anni, medico di famiglia in provincia di Cagliari, appassionato da sempre di moto e di tutto ciò che ci gira intorno. Vengo al dunque: qualche giorno fà, vicino al centro in cui lavoro, San Nicolò Gerrei, purtroppo, l'ennesimo incidente motociclistico con l'ennesimo morto. Questa volta un motociclista tedesco, in vacanza, che attraversava la Sardegna come altre migliaia in questo periodo, in cui il clima è mite, poco piovoso, e sopratutto, non c'è l'affollamento turistico dei prossimi mesi estivi. Ottima moto, ottima attrezzatura, guida al seguito, ma, purtroppo, guard rail in agguato. Una curva falsa, più lunga del previsto, scivolone e urto terribile contro i paletti del guard rail. Morte sul colpo. 46 anni, moglie e tre figli. Qualche decina di metri più avanti, stessa curva, altro ricordo, qualche anno fà, segnalato da una croce con pochi fiori, altro motociclista, molto giovane, stesse condizioni, stessa dinamica, stessa sorte. Non molto lontano, altro incidente motociclistico, altro morto, stessa dinamica, altro guard rail. Parlo col giornalista della stampa regionale e sottolineo la pericolosità della strada con i suoi guard rail, lui recepisce e pubblica la mia considerazione. Parlo col Comandante dei Carabinieri della stazione locale, e anche lui condivide e si ripromette di fare una segnalazione. Anni fà, io stesso, percorrendo la stessa strada, a causa di un'auto che mi tagliava la strada, uscii di strada in moto, e la mia più grande fortuna fu che caddi in una zona protetta da un vecchio muro, piuttosto che da un "moderno" guard rail. Mi viene voglia di capire meglio, di conoscere le norme, e per questo cerco su internet tutto ciò che concerne il problema. Scopro che le circostanze sono comuni a tutta Italia, che il numero di vittime è altissimo, che il sangue è stato versato inutilmente, che le barriere dei guard rail sono pericolose per tutti, non solo per i motociclisti, che le norme nazionali non sono adeguate e che malgrado le proteste e le considereazioni di gran parte degli utenti della strada, non si cambi una virgola in materia di sicurezza. Recentemente ho collaborato alla stesura del Piano di Prevenzione Regionale, in cui si è trattata anche l'infortunistica stradale con un proggetto denominato SICURVIA. Leggo che esistono tanti movimenti a favore di una revisione delle norme di sicurezza, in particolare sui guard rail. Gli stessi organi di stampa affrontano spesso e volentieri tali problematiche, ma purtroppo solo in concomitanza di eventi drammatici. Le riviste specializzate e autorevoli come la Vostra, hanno canali aperti e fanno pressioni in tutte le direzioni, ma purtroppo i risultati sono di una vergognosa incuranza. Nella mia professione, e, disgraziatamente, nella mia personale esperienza, ho vissuto la morte di giovani ragazzi ed ho la consapevolezza che poche azioni decise e decisive, avrebbero potuto salvargli la vita. Ma purtroppo, le esperienze di pochi, lontane anni luce da chi dovrebbe risolvere i problemi, sono solo patrimonio di pietà umana che mai potranno essere comprese se non da chi ha vissuto questi drammi in prima persona. Mi voglio fare testimone di questo dramma versando anche io la mia piccola goccia nel deserto dell'incuranza. E questo è solo il primo passo...
Fabio Barbarossa (mail inviata a "Motociclismo")