giovedì 15 settembre 2016

LA SCORTA


Molti anni fa chi si accingeva a far carriera politica, magari per passione o animato da spirito altruistico e capacità innovativa, lo faceva a contatto con il popolo. 
Gli incontri con la gente avvenivano semplicemente recandosi dove la gente dimorava, lavorava o meno, gioiva o piangeva, o dove più semplicemente invecchiava e moriva.
In caso poi di coronamento della elezione, o con un incarico anche piccolo di governo, il contatto poteva essere fonte di grande soddisfazione e riconoscimento di una strategia vincente per il territorio stesso. 
Il tanto agognato bagno di folla con gente festante era per il politico un riconoscimento popolare alle sue tante fatiche, privazioni, abnegazioni.
Spesso il tutto si concludeva con un confronto, propositivo o meno, ed il sempre gradito pranzo, o cena a seconda dell’ora, in cui il popolo ed il suo rappresentante socializzavano, magari davanti ad un buon bicchiere di vino e quattro battute allegre a questo conseguenti. L’unico accompagnatore del politico poteva essere il suo autista, necessariamente astemio, e qualche familiare orgoglioso di accompagnare il suo congiunto.
Ma, come succede sempre più spesso in questi ultimi anni,  tutto cambia e non necessariamente in meglio.
Il popolo fa paura e quel bagno di folla che prima allietava e gratificava il politico è diventato motivo di panico e da cui proteggersi. Sarà per questo che sempre più spesso la visita di un politico sul suo territorio, a qualunque livello, viene preceduta dalle forze dell’ordine di ogni qualità e grado che si organizzano con divise e atteggiamento antisommossa, militarizzando per il tempo necessario il territorio, mantenendo sempre più le distanze tra il popolo e i suoi bisogni, qualche volta con l’intermezzo di qualche benefica e provvidenziale randellata sulla testa.
È sempre più evidente il trasporto del politico su auto blindata con scorta da fare invidia ad Obama, e tragitti sempre più segreti in entrata e ancor di più in uscita da qualche sede, chiaramente insonorizzata per non far sentire alla guida politica  il rumore di ossa rotte del popolo.
Ho sempre pensato che in qualunque incarico, o ruolo sociale, fosse la coscienza a determinare le reazioni di chi è destinatario di quel ruolo. 
Se il popolo è soddisfatto il bagno di folla è proverbiale e il vino in allegria scorre a fiumi. 
Se invece il popolo è insoddisfatto è giusto che protesti e la protesta, chiaramente civile, non può essere zittita con fughe dal luogo a sirena spiegata ne tanto meno a colpi di randello sulla testa o sulla faccia.


Fabio Barbarossa

Pubblicato su L'Unione Sarda del 18 settembre 2016

Il dubbio

Spesso nella vita di ognuno di noi  si manifestano dubbi e perplessità che poi col crescere e con l'esperienza si affievoliscono sino a diventare fatti di routine.  Così, nel mio lavoro, i dubbi e le perplessità hanno lo spazio di pochi secondi. Il tempo necessario a collocare nella giusta posizione il fatto e trarne di conseguenza la soluzione. Ma oggi no. La mia consapevolezza professionale e' stata messa in crisi in modo diretto e inequivocabile da un semplice cartoncino di  9 cm x 4,5, di colore blu, messomi davanti da un paziente anziano in cui era raffigurato il logo Barilla e la scritta in bianco 
"MEZZE PENNE RIGATE" cottura 11 minuti 

Sono momenti terribili. 
Momenti in cui tutta la vita ti passa davanti in un baleno. 
Momenti in cui pensi che ormai la demenza senile si rivolge su di te. 
Momenti in cui pensi che il fatto di essere un dottore e' solo nella tua mente malata e che non ti sei mai laureato in medicina e chirurgia, ma sei sempre stato commesso in un negozio alimentari e che quel cartellino e' la tua vera, triste, realtà. 
Già.
Istintivamente penso in che scaffale siano le mezze penne. Sicuramente vicino ai fusilli e alle orecchiette. 
Poi, dopo aver guardato per 10 secondi dritto negli occhi il signore  davanti a me, come un vecchio e incallito giocatore di poker, prendo il cartoncino e lentamente, molto lentamente, lo giro.

"Spiriva e Striverdi per Antonia. Le strisce sono scadute. Registrare nel computer"

Nella parte posteriore del cartellino Barilla era celata una richiesta di farmaci. Strisce per la misurazione della glicemia e registrazione del Piano Terapeutico. 
Grazie a Dio. Sono un medico. E credo di non essere affetto da demenza, anche se per pochi istanti mi sono visto dietro il banco, con la matita dietro l'orecchio ad affettare mortadella e salame alle erbe. 
Ma a pensarci bene forse oggi non mi sarebbe poi dispiaciuto.

Fabio Barbarossa

Primo giorno di scuola media di mio figlio Matteo


Arriviamo in auto in vicinanza della scuola.  
Siamo circa cento genitori con relative auto per una possibilità di capienza di non più di 10 macchine. 
Intasamento mostruoso perché la strada finisce li. 
Come posso, minacciato da alcune madri li da alcune ore, faccio scendere Matteo e gli indico la strada per la  buona scuola. Dopo tre tentativi di manovra, un linciaggio e tre faide appena aperte con gli insegnanti appena esclusi dalla buona scuola, mi avvio alla ricerca disperata di un parcheggio. 
Dopo alcuni kilometri ne trovo uno e mi ci infilo senza esitazione, tra la rabbia e l'invidia degli altri genitori. Sono davanti ad una scuola confinante con la mia e, come mi dissero un anno fa, c'era tra le due un passaggio interno. Tutto, pur di vedere il primo giorno delle medie di mio figlio. 
Entro nell'androne della scuola e cortesemente chiedo ad una giovane ragazza (studentessa? Insegnante?) se conoscesse il passaggio segreto.

- Si. Certo. Faccia le scale sino alla fine. Esca dalla porta a destra e si troverà in un campo di pallacanestro. Poi faccia una  salitina e si troverà davanti alla sua scuola.

- Grazie. Molto gentile.

La camminata sulle scale era poco meno del Cammino di Santiago di Compostela. Quando sono uscito dalla porta a destra, come da indicazioni, sarà per la vicinanza con la fede religiosa, ho visto Santiago di Compostela seduto sullo stipite del canestro del campo di pallacanestro.
Comunque va bene. Ci siamo. Tutto pur di vedere Matteo al suo primo giorno di scuola media.  
Mi guardo intorno e cerco una "piccola salitina". Sarà questa, immagino. 
Più o meno come raggiungere il campo base per la scalata all'Everest. 
Con in più cocci di vetro e sabbie mobili. O la va o la spacca. Salgo. Un passo avanti e due indietro. Resisto. 
Ambrogio Fogar e il suo cane Armaduk mi sono stati virtualmente vicini. Arrivo al campo base e ahimè tra me e l'agognata scuola c'era una rete metallica a prova di migranti. 
Nooo. Non è possibile. Ma per il primo giorno di scuola media di Matteo, questo ed altro. Vado verso la salitina, che nel frattempo era diventata "discesina", più o meno come una banalissima discesa col bob a quattro. Ho messo a dura prova i miei glutei. Ok. Arrivo davanti alla scuola di partenza. Cerco la porta da cui sono uscito e la trovo disgraziatamente chiusa. Porta antipanico. Si può aprire solo dall'interno. Ormai nel pieno di una crisi confusionale guardo la scuola ancora vuota. Le lezioni iniziano forse domani. Mi guardo intorno. 
La scuola ha una vaga e poco rassicurante somiglianza con Alcatraz. Piccole finestre totalmente disabitate. 
Il cuore mi batte forte, anzi vibra. No, era solo il cellulare che mi ricordava di portare Matteo a scuola. Cellullare??

- Pronto, Scuola Sinotto?

- Siii.

- Senta, so che e' imbarazzante, sono nel campo interno della scuola e non riesco a rientrare per poter uscire.

- e cosa ci fa lei li?

Così risponde una signora acida che al confronto l'acido solforico e' camomilla.

- scusi. Ha ragione. Mi avevano detto che tra questa e l'altra scuola c'era una scorciatoia. Va be. Lasci perdere.

- dove si trova esattamente?

- guardi, qui sul muro c'è una balena disegnata.

- va bene. Resti li. Non si muova.

In attesa del mio carnefice guardo dietro il vetro della porta e scorgo un signore che girava tra le aule.

- scusi...scusi...signore

Mi agito muovendo le braccia a mo di farfalla.
Mi vede.

- mi apre la porta, per carità?

Vedendo la mia disperazione si avvicina subito.

- cosa ci fa lei qua?

- lasci perdere. Troppo lunga. La ringrazio. Arrivederla. Saluti la famiglia.

Scendo le scale con passo calibrato e mentalmente penso a come rispondere alla Signora Trinciabue che nel frattempo mi stava cercando.

- Sono il Professor Quattrocchi dell'ispettorato della Buona Scuola Sono qui per verificare se i docenti sono felici.

Fortunatamente per me non l'ho incontrata e ho potuto guadagnare l'uscita senza intoppi.
Per la cronaca, dopo un lungo ma fortunato giro, ho fatto in tempo a vedere Matteo al suo primo giorno di scuola media.

- come va papà? Trovato parcheggio?

- certo amore. Senza problemi.

E qui ho perso conoscenza.


Fabio Barbarossa.

FERTILITY DAY


Ho aspettato sino ad oggi che le acque si rompessero, ma soprattutto ho aspettato che l’Illuminato Primo Ministro Renzi ci erudisse in merito al Fertility Day e, per dirla sempre in termini idrici ostetrico ginecologici, mi sembra che il Premier se ne sia ampiamente lavato le mani.
Bene. Ciò premesso, veniamo al problema. Fertility Day. Questo sconosciuto. Intanto, essendo noi italiani d’Italia, mi sarei aspettato l’utilizzo della nostra lingua per definire qualcosa che ci riguarda. Giorno della fertilità, potrebbe essere la traduzione in italiano, almeno fino a quando l’Accademia della Crusca non riesca a trovare un termine più appropriato.
L’unico “giorno della fertilità” che conosco, chiedo scusa per la deformazione professionale, è quello dell’ovulazione che avviene in una donna in età fertile e in condizioni normali intorno al 14° giorno del ciclo mestruale.
Bisogna stare attenti ai termini, perché si sa, anche una piccola possibilità di interpretazione potrebbe provocare gravi equivoci, più o meno come le leggi italiane.
Quindi, giusto per mettere i puntini sulle i:
Giorno della fertilità o giorno dell’ovulazione?
Apparentemente non ci sarebbero differenze, ma così non è.
Tanti anni fa, da giovane studente di buone speranze, il termine ovulazione suscitava un certo timore reverenziale che in casi eccezionali poteva portare sino al panico.
Alla parola ovulazione poteva essere associata la gravidanza con  possibilità di  drammi plurifamiliari, che innescavano una serie di reazioni a catena, non ultima quella dell’acquisizione forzosa di due suoceri.
Allora restare incinta comportava una serie di fatti che andavano dal lieto al tragico.
Voleva dire interrompere un corso di studi o rinunciare ad un lavoro acquisito con difficoltà e sacrifici.
Voleva dire tornare alla casa paterna per l’impossibilità di sostenere il grave carico economico da ciò derivante.
Voleva dire non sapere a chi affidare i piccoli a causa della mancanza di asili o ancor peggio per il costo insostenibile di questi.
Voleva dire non essere in grado di sostenere i costi di una gravidanza in termini di assistenza sanitaria.
Voleva dire accollarsi in gran parte i costi se il nascituro avesse avuto malattie di qualche genere.
Voleva dire essere discriminate, come madri, nell’inserimento e nella prosecuzione nel mondo del lavoro.
Insomma, voleva dire, a parte poche eccezioni, un vero e proprio incubo.
Un momento. Ad essere obbiettivi  non mi sembra che  le cose oggi siano poi tanto cambiate. A pensarci bene forse è per questo che le giovani coppie continuano a guardare con diffidenza e timore alla fertilità e all’ovulazione? E magari sarà per questo che la Ministra Lorenzin ci vuole tranquillizzare sulla procreazione con una giornata specifica, effetti speciali, tarallucci e vino? Ma in definitiva le parole illuminanti del premier non lasciano spazi ad interpretazione:
“Per fare figli non servono Cartelloni”.
Strano, non ce n’eravamo accorti.


Fabio Barbarossa