giovedì 15 settembre 2016

FERTILITY DAY


Ho aspettato sino ad oggi che le acque si rompessero, ma soprattutto ho aspettato che l’Illuminato Primo Ministro Renzi ci erudisse in merito al Fertility Day e, per dirla sempre in termini idrici ostetrico ginecologici, mi sembra che il Premier se ne sia ampiamente lavato le mani.
Bene. Ciò premesso, veniamo al problema. Fertility Day. Questo sconosciuto. Intanto, essendo noi italiani d’Italia, mi sarei aspettato l’utilizzo della nostra lingua per definire qualcosa che ci riguarda. Giorno della fertilità, potrebbe essere la traduzione in italiano, almeno fino a quando l’Accademia della Crusca non riesca a trovare un termine più appropriato.
L’unico “giorno della fertilità” che conosco, chiedo scusa per la deformazione professionale, è quello dell’ovulazione che avviene in una donna in età fertile e in condizioni normali intorno al 14° giorno del ciclo mestruale.
Bisogna stare attenti ai termini, perché si sa, anche una piccola possibilità di interpretazione potrebbe provocare gravi equivoci, più o meno come le leggi italiane.
Quindi, giusto per mettere i puntini sulle i:
Giorno della fertilità o giorno dell’ovulazione?
Apparentemente non ci sarebbero differenze, ma così non è.
Tanti anni fa, da giovane studente di buone speranze, il termine ovulazione suscitava un certo timore reverenziale che in casi eccezionali poteva portare sino al panico.
Alla parola ovulazione poteva essere associata la gravidanza con  possibilità di  drammi plurifamiliari, che innescavano una serie di reazioni a catena, non ultima quella dell’acquisizione forzosa di due suoceri.
Allora restare incinta comportava una serie di fatti che andavano dal lieto al tragico.
Voleva dire interrompere un corso di studi o rinunciare ad un lavoro acquisito con difficoltà e sacrifici.
Voleva dire tornare alla casa paterna per l’impossibilità di sostenere il grave carico economico da ciò derivante.
Voleva dire non sapere a chi affidare i piccoli a causa della mancanza di asili o ancor peggio per il costo insostenibile di questi.
Voleva dire non essere in grado di sostenere i costi di una gravidanza in termini di assistenza sanitaria.
Voleva dire accollarsi in gran parte i costi se il nascituro avesse avuto malattie di qualche genere.
Voleva dire essere discriminate, come madri, nell’inserimento e nella prosecuzione nel mondo del lavoro.
Insomma, voleva dire, a parte poche eccezioni, un vero e proprio incubo.
Un momento. Ad essere obbiettivi  non mi sembra che  le cose oggi siano poi tanto cambiate. A pensarci bene forse è per questo che le giovani coppie continuano a guardare con diffidenza e timore alla fertilità e all’ovulazione? E magari sarà per questo che la Ministra Lorenzin ci vuole tranquillizzare sulla procreazione con una giornata specifica, effetti speciali, tarallucci e vino? Ma in definitiva le parole illuminanti del premier non lasciano spazi ad interpretazione:
“Per fare figli non servono Cartelloni”.
Strano, non ce n’eravamo accorti.


Fabio Barbarossa 

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