giovedì 16 novembre 2017

Ritorno a casa


Sono le 20.00. Arrivo solo ora casa. Da quando esercito la professione di medico, più o meno 35 anni, è una delle tante giornate. Partenza all'alba e il solito viaggio di circa un'ora tra valli e colline della mia terra. Spesso il viaggio è un momento di relax. Penso al lavoro, cerco di risolvere qualche problema dei miei clienti, ricevo e faccio telefonate, chiaramente col vivavoce della mia auto. Ascolto la radio e qualche volta intervengo in diretta quando gli argomenti suscitano il mio interesse. Quando poi inizia il mio lavoro, che sia in ambulatorio o in visita domiciliare, è come entrare in un teatro dove sei coattore in innumerevoli scene, alcune volte drammatiche, altre comiche, altre ancora tragicomiche. Non sai mai quale sarà il tuo copione, a meno che questo non sia stato già scritto nel tempo. Diversamente dal teatro, in queste scene non ci sono gli spettatori. È una recita a due, qualche volta a tre, che avviene tra quattro mura e che può concludersi in quella o in altre sedi, magari a puntate come negli sceneggiati televisivi. Come in tutte le pièces teatrali può capitare di commuoversi, di piangere o di ridere, a seconda delle scene o del contesto. Ma tutto deve avvenire nel rispetto reciproco e di tutto ciò che è umanamente accettabile. Si deve parlare, ma è più importante saper ascoltare. Devi essere umile e rispettoso. Devi saper aprire il tuo cuore e spesso le tue braccia, affinché chi si rivolge a te si senta al sicuro, capito e protetto. Prima ancora che medico devi essere uomo. Padre, figlio, fratello, amico non ha importanza. Ciò che conta e' concludere la giornata con la coscienza a posto e con quel minimo di serenità che ti faccia sentire importante e partecipe della vita e del tempo che fugge. Tutto questo da la carica per poter affrontare un altro giorno con orgoglio, grinta, forza, ma soprattutto amore. 


Fabio Barbarossa