martedì 3 novembre 2015

Anche questa giornata, faticosamente, volge al termine


Tante vite, tante storie che si accavallano in un vortice di emozioni. Storie di ogni genere raccontate o vissute in prima persona. Storie interessanti, felici o tragiche, che riempiono la vita di chi le ha vissute, o anche semplicemente di chi, come me, le ha ascoltate. Fare il medico  vuol dire anche questo. Vuol dire avere il privilegio, e spesso il peso, di vivere insieme alla gente comune, quella di tutti i giorni per intenderci. Vuol dire sorridere o piangere, senza vergognarsi. Vuol dire aiutare chi ne ha bisogno, ma soprattutto chi non te lo chiede. Vuol dire amare senza condizioni, anche quando il peso delle tue responsabilità o il dolore e le emozioni ti porterebbero a fuggire lontano. Vuol dire sentirsi ancora gratificati e felici nel ricevere un ringraziamento con un sorriso o una bottiglia di olio buono. Vuol dire capire, per poter spiegare a chi ne ha bisogno, quali sono le strade della vita. Vuol dire sapersi emozionare per le cose che per altri sono insignificanti, ma che provengono dal profondo del cuore della gente. Vuol dire soffrire per gli altri come soffriresti per un proprio caro. Vuol dire donare quello che si possiede anche quando ti rimane poco o niente. Vuol dire credere in un futuro migliore, e qualche volta consolare chi ha perso ormai ogni speranza. Vuol dire vivere con sentimento e determinazione la propria vita per essere consapevoli di lasciare un ricordo, una traccia da seguire, per chi verrà dopo. Vuol dire stare attenti a dove metti i piedi perché le nostre orme saranno seguite dai nostri figli. Vuol dire, in definitiva, vivere ed amare la vita con tutto quello che ci riserva e per questo comunque ringraziare per aver avuto il privilegio e l’onore di esserci stati.
Sempre vostro. Umilmente.
Fabio Barbarossa


2 novembre 2015

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