martedì 21 agosto 2018

Lo sapevo che prima o poi ci saremmo arrivati. I segni premonitori erano già nell'aia e lo stesso olezzo, percepibile sotto i trecento metri in favore di vento,faceva presagire che di li a porco ci sarebbe stata una grande innovazione sugli usi e costumi della nostra tanto amata Sardegna. In epoca di innovazioni tecnologiche e alimentari, sottoscritte dalla genialità dei nostri amministratori, era imminente un grosso cambiamento sull'allevamento dei maialetti sardi, onore e gloria delle nostre tradizioni. Chi non conosce il porchetto sardo? Chi non ha gustato, turisti compresi, almeno una volta nella sua vita quel sapore e quella consistenza croccante, tipici degli allevamenti nostrani e della cultura dell'arrostitore, sostenuto e dissetato dal fresco e tenace vino cannonau? Ben pochi. In certe zone della nostra terra lo stesso svezzamento si avvaleva del porchetto quale carne incontaminata, ricca di proteine e grassi di per se stessa equilibrata e sana. Ormai e' appurato che il maialetto è entrato nel codice genetico dei sardi e in questi ha determinato una parte fondamentale del loro carattere. Gli stessi nostri avi adoravano tanto il suino da adottarlo negli stessi cognomi presenti ancora oggi in gran parte delle anagrafi isolane. Porcu, Porceddu, Porcheddu rendono alto l'onore dei sardi che così si chiamano. Purtroppo la nostra è un'era di porcate e in queste si contraddistinguono mezzi uomini che pensano solo ai loro porci comodi. Quindi non è improbabile che nel prossimo futuro assisteremo ad un impoverimento ulteriore della nostra cultura lasciando spazio ad una pseudo globalizzazione in cui il porchetto sarà frutto di incroci genetici di ben altra provenienza. Il problema sarà convincere la porca sarda a farsi montare da un porco di altri lidi. Ma d'altronde, piuttosto che nulla è meglio piuttosto.

Porca miseria a tutti.


Fabio Barbarossa 

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